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2011: l’annus horribilis per gli Scavi di Pompei

Dopo il 79 d.c. il 2011 è stato di sicuro l’anno più funesto per Pompei e le sue rovine che continuano impietosamente a rovinare sotto gli occhi di tutti e nell’impotenza e sconforto generali. Stavolta il crollo tocca il cuore della città sepolta e una delle sue domus più belle: è la villa di Loreio Tiburtino o di Ottavio Qartione, di cui è stato rinvenuto il sigillo, dove si è sbriciolato un pilastro esterno all’abitazione in prossimità dell’affresco di Piramo e Tisbe, fortunatamente intatto. Il rinvenimento risale alla mattina del 22 dicembre, verso mezzogiorno, quando il custode competente per la regio quarta ha constatato il cedimento del pilastro della domus per fortuna al momento deserta. Successivamente è stato effettuato un sopralluogo cui hanno partecipato la Soprintendente Teresa Elena Cinquantaquattro, il direttore degli Scavi Antonio Varone, il personale tecnico della Soprintendenza e le Forze dell’ordine. Queste ultime, del resto, in seguito ai rilievi effettuati, hanno posto sotto sequestro l’area, attualmente interdetta al pubblico. Il vento forte, che ha divelto diverse transenne situate su via dell’Abbondanza, e, comunque, le avverse condizioni meteorologiche di questi giorni sarebbero all’origine di questo nuovo sciagurato avvenimento, il quarto in pochi mesi e in diverse aree del sito. La peculiarità del presente accadimento è il luogo in cui è avvenuta: la domus in questione, infatti, posta in una parte centrale della città sepolta nei pressi della palestra e dell’anfiteatro, appariva in buono stato di conservazione prima del crollo. La sua particolarità, d’altra parte, risiede proprio nel giardino interessato dall’evento: al centro vi sono due lunghe vasche d’acqua a forma di “T” che riproducevano il fiume Nilo e le sue inondazioni in occasione dei riti in onore di Iside cui il proprietario era devoto, come dimostrano anche le diverse rappresentazioni scultoree che rimandano all’Egitto. Tuttavia la piaga della conservazione degli scavi non è divina ma tutta umana e se si è abbattuta quest’oggi su una delle parti meglio conservate questo non può che destare una sempre maggiore preoccupazione e allarme che gli esperti d’altronde propalano da tempo. L’anno scorso nel suo ultimo scorcio ha visto il crollo della Schola Armaturarum, quest’anno si chiude con un altro, l’ennesimo, crollo e invece degli auguri di Natale sembra più urgente raccomandarsi a Giove Pluvio ma anche a Eolo perché siano clementi . Affidarsi agli dei sembra davvero l’ultima spiaggia in un annus horribilis inaugurato con un  crollo e terminato con un altro e visto che il Ministro Lorenzo Ornaghi nei giorni scorsi ha annunciato che i lavori che prevedono l’utilizzo dei fondi europei inizieranno dopo la prossima estate si deve anche sperare che gli dei oltre che clementi siano pazienti. Perché, diciamo la verità, questi scavi per noi sono ingombranti, sono troppo grandi, sono più grandi di noi e allora cerchiamo sempre qualcuno dall’alto che possa risolverci i problemi o salvarli. Che siano gli dei, l’UNESCO, gli investitori francesi se ne occupi qualcuno, per favore, ma non noi, perché non ne siamo all’altezza, l’abbiamo dimostrato. Quando poco più di un anno fa il bubbone degli scavi è scoppiato col crollo della Schola Armaturarum quello non era l’inizio come molti hanno pensato. Era la fine. Di gestioni ordinarie e straordinarie, di rattoppi ed incurie, di negligenza, noncuranza, insufficienza. E allora basta, diciamolo. Imballiamo gli scavi, smontiamo tutto, chiudiamoli, facciamo qualcosa, ma subito, adesso altrimenti per preservarli non ci resta che affidarci al dio Vesuvio. Che se ne occupi lui, una buona volta, una volta e per tutte. Caro, monte Vesuvio, è una preghiera: ricopri gli Scavi e seppelliscili talmente a fondo che nessuno possa trovarli e profanarli. Noi, semplicemente, non siamo stati capaci.

Claudia Malafronte

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