Lo Stato italiano, a partire dal 1994, non è stato capace di gestire adeguatamente l’emergenza rifiuti in Campania. A sentenziarlo, la Corte dei Diritti dell’uomo di Strasburgo sulla base di un ricorso presentato da 18 cittadini di Somma Vesuviana. La Corte ha riconosciuto la violazione del diritto alla salvaguardia della vita privata e familiare: lo Stato non può costringere i suoi abitanti a vivere tra i rifiuti. Non è stato però riconosciuto il danno alla salute. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto che la vita e la salute dei ricorrenti non sono state messe in pericolo dall’emergenza rifiuti in quanto gli studi scientifici presentati dalle parti sull’esistenza di un legame tra un aumento dei casi di cancro e la gestione dei rifiuti in Campania non risultano concordi. Allo stesso tempo i giudici di Strasburgo non hanno riconosciuto l’indennizzo di 15mila euro per danni morali richiesto dai ricorrenti asserendo che la constatazione della violazione del loro diritto alla vita privata e familiare è da considerarsi una riparazione sufficiente del danno morale subito. La Corte ha anche stabilito che lo Stato italiano dovrà versare all’avvocato Errico di Lorenzo, che oltre a rappresentare il gruppo è uno dei ricorrenti, 2.500mila euro per le spese legali sostenute, a fronte della richiesta di oltre 20 mila euro avanzata dallo stesso. La crisi dei rifiuti in Campania, che è alla base della condanna della Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, scoppiò nel 1994 ed è durata fino al 2009, quando cessò la cosiddetta fase di emergenza il cui picco fu raggiunto tra il 2007 ed il 2008. La condanna della Corte dei diritti dell’Uomo fa riferimento alla «incapacità prolungata delle autorità italiane di assicurare il funzionamento regolare del servizio di raccolta, di trattamento e di eliminazione dei rifiuti» che «ha colpito il diritto dei richiedenti, al rispetto della loro vita privata e del loro domicilio». Secondo i giudici di Strasburgo la mancata raccolta ed eliminazione dei rifiuti dalle strade, contrariamente a quanto sostenuto dallo Stato italiano, non fu provocata da cause di “forza maggiore”.
Antonio Averaimo