A Pompei “Non è un paese per donne”: dal libro curato da Cristina Zagaria al dibattito sulla condizione femminile in Italia

È passato quasi un anno dal 13 febbraio, dall’urlo lanciato dalle piazze di Roma, di Napoli e di tutta Italia da donne di qualsiasi età e convinzione che con forza chiedevano: “se non ora, quando?”. Adesso, ad un anno di  distanza, è ora di tracciare bilanci e chiederci cosa è accaduto, cosa è cambiato, che cosa abbiamo ottenuto. È per questo che qualsiasi occasione pubblica o privata può essere uno spunto, parte di un dialogo o di un percorso condiviso, seppur in modo diverso, ciascuno nelle sue misure e competenze. Per questo anche la semplice presentazione di un libro può trasformarsi in qualcosa di più, nella continuazione di un dibattito che non si è mai interrotto sulla condizione femminile nel nostro paese. Per questo anche la rassegna “non è un paese  per donne” inaugurata a novembre dal comune di Pompei è una voce che si aggiunge al coro nazionale sulla questione femminile. Per questo una tappa importante di tale percorso è stata rappresenta dalla presentazione dell’omonimo libro presso l’aula consiliare il 12 gennaio. L’evento e l’iniziativa intera si devono al carisma della professoressa Rita Montemarano, delegata alle Pari Opportunità, che per l’occasione è riuscita a coinvolgere oltre al sindaco Claudio D’alessio, le “Mamme Vulcaniche”, alcune autrici come Cristina Zagaria, Patrizia Rinaldi, Raffaella Ferrè, e anche Luisa Cavaliere, giornalista e femminista, e, soprattutto, i ragazzi delle superiori di Pompei che gremivano l’aula.“Non è un paese per donne”, del resto, antologia di brani di diverse autrici, curata da Cristina Zagaria, giornalista e scrittrice, è stato realizzato proprio sull’onda di emozioni suscitate dalla manifestazione dell’anno scorso e di indignazione per una femminilità che veniva raccontata a senso unico: idolatria del corpo e sottomissione al piacere maschile, libertà intesa come libertà di vendersi al migliore offerente, il corpo delle donne come merce di scambio per piaceri e lavori. Questo libro non è contro un modo di essere donne ma è contro lo stereotipo e l’omologazione di chi vuole le donne tutte Barbie compiacenti e arrendevoli, disposte a barattare la propria bellezza con il potere e il prestigio. Quest’opera, invece, ci racconta un femminile plurale e differente attraverso gli occhi e il corpo delle donne che hanno lottato, sofferto, che sono cadute e si sono rialzate o, quantomeno, ci hanno provato. Anche qui c’è il corpo delle donne ma non è esibito in televisione ad uso e consumo del piacere maschile: è un corpo che soffre perché maltrattato dal proprio compagno, perché buttato in mezzo a una strada come carne umana da vendere a chi è disposto a pagare, è un corpo malato che con la malattia convive ed impara a sorriderne. È il corpo di una madre, Matilde Sorrentino che a Torre Annunziata ha denunciato i pedofili che hanno ammazzato l’anima del figlio e che poi è stata a sua volta uccisa. Ma non chiamatelo coraggio perché ci sono cose nella vita di fronte a cui non si ha scelta, si può solo lottare, andare avanti digrignando i denti, a ogni sconfitta rialzandosi sempre più forti. Come non potevano scegliere le “mamme vulcaniche” che si sono trovate la peste nella propria casa, nell’acqua che bevevano, nei cibi che mangiavano. Dovevano lottare, alzare barricate, coinvolgere i loro figli, guardarli negli occhi, spiegare, sentire che c’è un altro modo per vivere e il modo in cui viviamo cambia il mondo che abitiamo. Dovevano lottare queste donne e hanno lottato e ci hanno lasciato ciascuna di loro un insegnamento comune: che la donna, la sua differenza, ciò che a taluni può apparire una debolezza, è in realtà una forza: è la spinta delle ali che sembrano fragili ma che si alzano per volare, è la vittoria di Don Chisciotte che, come dice Erri De Luca, è invincibile non perché vince sempre ma perché non vince mai, eppure ogni volta si rialza sul suo Ronzinante con la lancia in resta. Quindi, nonostante tutte le sconfitte, nonostante la discarica di Terzigno sia ancora aperta, nonostante ogni giorno arrivino notizie di violenze sulle donne, nonostante l’Italia non sia ancora un paese per donne, io sono fiduciosa, perché dove c’è una donna che soffre c’è anche una donna che combatte e, spero, una donna al suo fianco che la sostiene. Sono fiduciosa anche perché se l’Italia non è ancora un paese per donne può diventarlo non con una legge ma con una cultura che cambia e si va diffondendo. Un cambiamento che, spero, non sia solo delle donne ma anche degli uomini, perché comprendano che le prigioni che costruiscono alle donne rinchiudono anche loro stessi, che la violenza verso le donne è una violenza che loro, comunque, si portano dentro. Perché si comprenda finalmente, un giorno, che la libertà delle donne è la libertà di tutto il genere umano.

Claudia Malafronte   

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