La pagina del Brigantaggio rimane una delle più controverse della nostra storia su cui per molto tempo si sono alternati silenzio e reticenze e ora, appena trascorse le celebrazioni dell’unità d’Italia, non si spengono riflettori. A testimoniare un interesse ancora vivo per la problematica giovedì 16 febbraio si è tenuto un dibattito sul “Brigantaggio nella valle di Pompei” organizzato da Don Giuseppe Esposito presso la parrocchia del Ss Salvatore. Ad introdurre la discussione l’Arcivescovo di Pompei, Monsignor Carlo Liberati, e Antonio Ebreo, delegato alla cultura dello stesso comune, discussione che ha ricevuto il contributo di Don Enrico Gargiulo, Cancelliere della Prelatura, e Maria Luisa Storchi, Soprintendente per i Beni Archivistici della Campania. Nel corso del confronto sono state riportate diverse testimonianze del Beato Bartolo Longo sulla condizione di miseria e di delinquenza diffusa della Valle di Pompei all’indomani della creazione dello stato unitario. Tali forme di criminalità denominate “malandrinaggio” rimangono comunque distinte dal Brigantaggio vero e proprio, combattuto soprattutto da reduci dell’esercito borbonico come il cosiddetto Pilone, alias Andrea Cozzolino, protagonista del libro “L’ultimo Brigante del Sud”, del giornalista Gabriele Scarpa che ha immaginato di intervistarlo nel suo rifugio sul Vesuvio per comprendere le ragioni dei vinti e dar loro voce. E proprio le ragioni storiche non solo del Brigantaggio ma dell’intera “questione meridionale” sono state toccate da Gennaro de Crescenzo, Presidente dell’Associazione Culturale Neoborbonica, che ricorda le cifre di un sud produttivo e fiorente sotto la dinastia spagnola. Da queste parti, racconta lo storico, erano attive circa cinquemila fabbriche e la povertà era presente ma non esisteva il fenomeno dell’emigrazione, piaga che ha colpito il sud dopo l’unità col nord e la feroce repressione di qualsiasi forma di rivolta da parte della popolazione. I briganti, prosegue lo stesso De Crescenzo, possono essere considerati una sorta di partigiani che non si arresero all’esercito piemontese, autore non solo dell’occupazione ma anche dello spoglio delle ricchezze del sud, e molti pagarono questa forma di resistenza con la deportazione nel lager di Fenestrelle . Al di là delle ragioni e della storia che ormai ha preso il suo corso e non può riannodarsi dal punto in cui si è interrotta ben 150 anni orsono, ciò che va recuperata è la conoscenza di una vicenda, quella dei Briganti, troppo spesso sottaciuta o condannata all’oblio, così come è importante riappropriarsi dell’orgoglio della cultura meridionale che vanta il Pentamerone di Giambattista Basile, storici come Vincenzo Cuoco, grandi giuristi come Gaetano Filangieri pur essendo misconosciuta agli stessi giovani meridionali costretti non solo ad abbandonare la propria terra ma molto spesso anche a maledirla o vergognarsene. Perché, se non è utile risvegliare i fantasmi e i rancori del passato, il merito dei libri o dei dibattiti sul Brigantaggio è quello di farci comprendere non solo le radici storiche della questione meridionale ma anche che proprio da qui e dalla consapevolezza delle risorse antiche e moderne del sud può ripartire la nostra società e il nostro sviluppo.
Claudia Malafronte