Le rovine di Pompei in balia dei venti: stavolta tocca alla domus della Venere in Conchiglia perdere un pezzo dello stucco parietale

È un’agonia lenta e inarrestabile quella che colpisce gli Scavi di Pompei da più di un anno a questa parte, da quel nefasto 6 novembre 2010 che inaugurò la stagione dei crolli, con la Schola Armaturarum che si sbriciolava sotto gli occhi increduli e addolorati del mondo. Da allora con cadenza periodica si sono ripetuti episodi di cedimento nelle varie parti del sito e data la relativa frequenza ciò che più preoccupa è ciò che non emerge agli onori delle cronache. Era il 22 febbraio scorso quando un pezzo di intonaco grezzo si staccava da un muro laterale del Tempio di Giove, episodio a fronte del quale l’architetto Antonio Irlando, responsabile dell’osservatorio patrimonio culturale, dichiarava che l’ottanta per cento degli scavi era a rischio crollo e temeva che per un cedimento scoperto e visibile, perché in una zona centrale come il foro, altri potessero celarsi nelle regioni meno frequentate. Sono passati sette giorni e quella profezia si è tristemente avverata: nella domus della Venere in Conchiglia, nei pressi dell’Anfiteatro, parte dell’intonaco delle pareti dell’atrio si è distaccato lasciando una visibile frattura sul muro. Si tratta di una superficie di circa un metro di colore rosso per cui i tecnici della Soprintendenza, capeggiati dal direttore degli Scavi, Antonio Varone, sono prontamente intervenuti. E non è stato un crollo isolato: altri si sono registrati nella regio sesta dove a staccarsi è stato il rivestimento in cocciopesto grezzo di una delle pareti della fullonica, mentre nella regio settima cadeva uno stipite delle Terme. Al di là dell’episodio eclatante, che pure ha interessato una delle magioni più belle e famose che affacciano su via dell’Abbondanza, e per fortuna non ha intaccato il suo meraviglioso affresco, ciò che colpisce è il senso di precarietà che questo luogo ormai emana. All’entrata, a Porta Marina, ci informano che la maggior parte delle domus è chiusa probabilmente per le cattive condizioni meteorologiche, per cui si teme che le stesse siano pericolose per l’incolumità dei visitatori. All’ingresso, del resto, si può già notare che la copertura in plexiglas delle terme suburbane è in parte staccata. Ma anche all’interno del sito aleggia un sensazione di allarme e desolazione come se tutto potesse venire giù da un momento all’altro, mentre frotte di scolari sostano lungo le vie principali e quest’immagine bellissima si tinge di prospettive inquietanti. Lungo il percorso ci sono recinzioni e sbarre dovunque, impalcature e sostegni che danno l’impressione di trovarsi in un cantiere più che in un parco archeologico che non ha pari al mondo. Visitare quest’area, soprattutto via dell’Abbondanza, è veramente difficile con interruzioni e deviazioni continue e manca quell’incanto che fino a poco tempo fa una visita agli scavi regalava. La zona dell’Anfiteatro è recintata con nastri e si paventa il crollo anche delle pigne degli alti pini a causa del forte vento. Alcuni turisti, avvertiti all’ingresso delle speciali misure adottate per le intemperie, si sono lamentati del costo del biglietto, intero a fronte di una visita monca e solo il fatto di aver percorso migliaia di chilometri li spinge ad entrare. Ma per quanto ancora? Per quanto ancora dovremo rincorrere comunicati di crolli, interventi e rattoppi prima di essere sicuri di preservare questo patrimonio artistico, la sua bellezza, una ricchezza non solo nostra ma dell’umanità presente e futura che stiamo colpevolmente abbandonando?  Per quanto ancora i visitatori vorranno vedere una città morente? Per quanto ancora questo gigante ferito resisterà sotto i colpi del tempo e dell’incuria dell’uomo? Forse non si è consapevoli che si sta distruggendo qualcosa di insostituibile che non ci appartiene e che tra poco sarà consegnato ad una irrimediabile decadenza. Si parla di finanziamenti faraonici e  ad essi rinvia Antonia Pasqua Recchia, segretario generale del Mibac, per la soluzione dello stato di allerta che ci colpisce ad ogni alito di vento che lambisce le antiche rovine. Tuttavia sembra che l’unica vera fotografia della condizione attuale degli scavi sia quella descritta dalla senatrice PdL Diana De Feo: Pompei si sta sfaldando. E questi continui cedimenti sembrano davvero gli ultimi lamenti di un cigno morente, che chiede disperatamente di essere salvato ma che ormai non ha molto tempo per sopravvivere.

Claudia Malafronte

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