Le donne italiane fanno figli tardi. Prima occorre raggiungere una sicurezza economica, poi bisogna organizzare tempi e spazi per la gestione dei figli e, non ultima, è richiesta una maturità emotiva che fa della procreazione una scelta autonoma e non un obbligo sociale.
Con l’età, infatti, invecchiano i gameti femminili (le cellule riproduttive della donna), fino alla menopausa. Quest’ultimo è l’evento fisiologico che nella donna corrisponde al termine del ciclo mestruale e dell’età fertile. In tale occasione termina l’attività ovarica.
Grazie a una ricerca condotta da Jonathan Tilly del Massachusetts General Hospital di Boston e pubblicata sulla rivista Nature Medicine, La fertilità femminile potrebbe non avere un termine prefissato, rappresentato dalla menopausa. La convinzione che le femmine dei mammiferi, compreso l’uomo, nascono con una disponibilità limitata di cellule uovo risale agli anni ’50.
Il team del prof Tilly ha smentito questa teoria, isolando cellule staminali adulte in tessuto ovarico di giovani donne: con queste cellule sono state prodotte cellule uovo (ovociti).
Potenzialmente, isolando le staminali ovariche e conservandole in banche cellulari, ogni donna potrebbe, anche dopo la menopausa, dare alla luce un bimbo. Inoltre in queste staminali potrebbe nascondersi la soluzione a tanti casi di sterilità.
Le prime staminali ovariche furono isolate in topi alimentando un acceso dibattito sulla possibilità che la menopausa sia aggirabile. Nel 2009 Ji Wu, dell’università di Shanghai Jiao Tong, aveva dimostrato in una ricerca apparsa su Nature Cell Biology che le staminali ovariche di topi possono produrre ovociti fecondabili. Questi ovociti, trapiantati nelle ovaie di topi femmine sterili, hanno permesso loro di riprodursi. Ma nella donna mancava ancora la prova dell’esistenza di simili staminali. Tilly ha raffinato la tecnica di isolamento delle staminali ovariche già usata sui topi in precedenti lavori, e attraverso essa è riuscito ad individuare la proteina DDX4, che caratterizza la superficie delle staminali. Trovare “le cellule giuste” e coltivate in laboratorio è stata osservata una produzione spontanea di ovociti, cellule uovo ancora immature. Circondati da tessuto umano ovarico innestato nei topi, gli ovociti sono giunti a maturazione, pronti per essere fecondati. Per motivi etici e legali la fecondazione non è avvenuta: ad oggi, la ricerca e la sperimentazione sugli ovuli umani è soggetta a restrizioni molto severe.
Il solo fatto che da queste staminali di donna si possono produrre ovociti è la prova della valore della scoperta. La prospettiva è che un giorno le staminali di donne siano conservate in bio-banche per poi essere scongelate in caso di bisogno per produrre ovociti da usare nella fecondazione in vitro o in altri trattamenti anti-sterilità. Del resto, una delle principali cause di infertilità nella donna è la ricerca del primo figlio in età tardiva.
Allan Pacey, esperto di fertilità dell’Università di Sheffield, ha commentato positivamente la scoperta, spiegando che grazie a questa tecnica si potrebbe preservare la fertilità delle donne malate di cancro, sottoposte a trattamenti antitumorali aggressivi, come la chemioterapia, che ne compromettono le capacità riproduttive.
Secondo il presidente della Sidip (Società italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale), Claudio Giorlandino, questa ricerca «non tiene conto di aspetti importantissimi dal punto di vista genetico». «In una donna in premenopausa o con problemi di insufficienza ovarica c’è qualcosa di geneticamente alterato […] ammesso che si trovino, in futuro, nelle sue ovaie delle cellule staminali che potrebbero produrre ovuli, questi a livello genetico potrebbero presentare dei difetti e quindi andare a generare embrioni geneticamente imperfetti».
Se da una parte è vero che come ogni grande scoperta, anche questa comporta dei rischi, bisogna prendere atto che gli si prospettano scenari ed implicazioni socio-culturali importanti: servirà tutto questo a recuperare il valore della famiglia, ormai in declino?
Catello Somma