“Il 25 Aprile deve diventare la festa della pacificazione nazionale. A 67 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale i tempi sono maturi per dire che fu una guerra civile e che gli ideali di democrazia, non solo hanno battuto il nazifascismo, ma hanno resistito anche al successivo tentativo comunista di sostituire una dittatura nera con una dittatura rossa”. Lo dichiara il vicecoordinatore vicario del PdL, Antonio Iannone. “Naturalmente –continua – il manifesto del presidente Cirielli riferisce fatti storici accertati e va in questa direzione, cioè quella della pacificazione nazionale, esprimendo gratitudine alle Forze Alleate che hanno rappresentato il baluardo della democrazia in occidente. Questo ragionamento è mal sopportato da quanti hanno fatto della Resistenza e della Festa della Liberazione il paravento della vera finalità della propria parte politica. E’ un dato di fatto, che nella divisione di Yalta l’Europa Orientale fu sottomessa alla dittatura sovietica con il Patto di Varsavia, dove al nazismo si sostituì una cultura di socialismo reale, che ha partorito mostri quali Tito, Ceausescu, e tutti i rappresentanti del Comitato Centrale del Pcus. Ricordo a quanti l’hanno dimenticato, che questi aguzzini comunisti hanno insanguinato le piazze di quei malcapitati Paesi, fino alla fine degli anni ’80. E, pertanto, non si accettano lezioni da improbabili professori che si sono allattati alla cultura di convenienza di frattocchie (la scuola di deformazione politica del Partito Comunista Italiano, finanziata con i Rubli sovietici delle missioni di Cossutta che, in piena Guerra Fredda, cospirava contro la sicurezza nazionale e il sistema democratico italiano)”.
“Al signor Tavella – conclude – che autodichiara di saper leggere, consigliamo il libro di Gianpaolo Pansa, uomo di sinistra, ma onesto intellettualmente, che nel suo lavoro “Il sangue dei vinti” descrive e documenta gli orrori di alcune frange dei partigiani rossi, i quali, a guerra finita, continuarono nelle azioni di rappresaglia nei confronti di altri italiani, rei di aver avuto idee diverse. E’ costume di quest’ultima generazione di uomini della sinistra, dare dell’ignorante a chi non si rifà unicamente ai riferimenti della storiografia prevalente, che è a tutti nota per ricchezza di omissioni. La storia la scrivono i vincitori, ma la giustizia della memoria è un concetto etico che non conosce percentuali di maggioranza e di minoranza. Prima del sussidiario, bisognerebbe consultare il dizionario: “ignorante significa “colui che ignora”, spesso coloro che ignorano sono anche presuntuosi e vedono negli altri i difetti propri”.