Nonostante le temperature estive non facciano temere nuovi crolli negli scavi di Pompei, nei giorni scorsi un nuovo scossone è arrivato dalla Francia. Sono sfumati gli investimenti dell’Epadesa, ente pubblico che gestisce la Dèfense, la city parigina,che erano stati annunciati solo nel novembre scorso. Dopo la spedizione di un gruppo di transalpini in marzo, la presidente dell’organizzazione, Joèlle Ceccaldi Raynaud, avrebbe inviato una lettera al ministro della cultura Lorenzo Ornaghi abbandonando un finanziamento di 5- 10 milioni l’anno senza limiti di tempo. Diffusasi la notizia della defezione francese, è arrivata, sul fronte nostrano, una marea anomala di accuse e rimpalli di responsabilità. Sulle pagine del Mattino è stato un botta e risposta al vetriolo tra il vertice degli industriali napoletani Paolo Graziano e Riccardo Villari, ex sottosegretario del MIBAC. L’imprenditore partenopeo, che a novembre a Parigi ha firmato un’intesa con la regione per investimenti extra moenia, ha puntato il dito sulle responsabilità politiche del ripensamento francese. A tali affermazioni Villari ha replicato rilanciando un’accusa gravissima ai cugini d’oltralpe: i 200 milioni offerti sarebbero serviti per creare una sorta di corsia preferenziale per i loro appalti, aggirando le strettoie della normativa europea. Una dichiarazione del genere in un paese normale avrebbe suscitato un polverone, ma da noi, complice il solleone, è passata sotto silenzio. Solo l’Osservatorio sul Patrimonio Culturale, guidato dall’arch. Antonio Irlando, è insorto chiedendo i debiti chiarimenti:“Riteniamo indispensabile l’avvio sia di un’indagine della magistratura che da parte del Ministro per i beni culturali, Lorenzo Ornaghi, per fare chiarezza sulle eventuali responsabilità che hanno portato al rifiuto degli imprenditori francesi del consorzio Epadesa di offrire cospicui contributi per il restauro degli scavi di Pompei. Le affermazioni del senatore Riccardo Villari, già sottosegretario ai beni culturali, con delega su Pompei, riportate oggi in un’intervista pubblicata da “Il Mattino” ci sembrano sconcertanti e potrebbero aprire sia capitoli giudiziari di rilevanza penale che ipotizzabili incidenti diplomatici tra Italia e Francia. Infatti, l’ex sottosegretario per spiegare il rifiuto dei francesi a sponsorizzare attività di conservazione dell’area archeologica pompeiana, ha affermato, tra l’altro, che “i francesi volevano gli appalti senza fare le gare”. Il rifiuto dei francesi a contribuire al salvataggio degli scavi di Pompei è un altro increscioso capitolo che conferma la confusione gestionale dell’area archeologica e il ruolo di organismi pubblici e privati che usano Pompei forse per fini diversi dalle prioritarie attività di conservazione dell’area archeologica”. Lo sgomento a fronte delle esternazioni del parlamentare campano, del resto, è tanto più grande in quanto sugli appalti a Pompei il governo ha scommesso il tutto per tutto, facendone un modello di legalità e istituendo una cabina di regia dotata di un super prefetto per prevenire eventuali infiltrazioni camorristiche. Senza contare che si tratta di gare europee, dati gli importi elevati, che vedono una competizione a livello continentale e una normativa superiore e più rigida di quella nazionale. Sembra, quindi, singolare che proprio i francesi, che del rigore del settore pubblico fanno un punto di onore del loro sistema statale, utilizzino un escamotage così infimo per aggirare surrettiziamente le regole. L’intervista del senatore Villari, tuttavia, getta un’ombra lunga sull’intera vicenda che è necessario sondare anche per le motivazioni troppo fumose della ritirata francese. Considerando, inoltre, che il tutto si risolve in una perdita notevole in termini di credibilità e prestigio del nostro paese. Quindi delle due l’una: o queste accuse sono vere e vanno indagate, o sono la solita foglia di fico per occultare le responsabilità della politica. E allora non ci sono più dubbi sul perché i cugini d’oltralpe si siano dati alla fuga, di fronte a tanta incapacità di gestione e assunzione delle proprie colpe.
Claudia Malafronte