Rosa Rosae è l’accattivante titolo della mostra dell’artista Paolo Signorino che sarà inaugurata sabato 28 luglio, alle ore 20, presso lo spazio d’arte Archivio Ravello Arte Contemporanea, con la direzione artistica dell’art promoter Bruno Mansi. Protagonista di questa esposizione sono decisamente le rose che il maestro Signorino ha reso da caduche ad eterne attraverso la sua pittura nel corso della sua lunga esperienza artistica ed eccole raffigurate, con numerose sfumature di colori, selvatiche, antiche, centifolie, canine e che, talvolta, si scompongono in cascate di petali evanescenti.
Da oltre quarant’anni, da un secolo all’altro, Paolo Signorino non smette di interrogare la natura sempre sfuggente delle rose. Lo fa con sguardo e con mano di pittore ostinato, con la cura paziente di chi, sulla carta o sulla tela, con la leggerezza affilata del disegno o con l’azzardo spudorato del colore, prova ogni volta a fermare la verità istantanea di una visione che è di per sé transitoria, inquieta, umorale. “Una sfida irrinunciabile, senza dubbio ambiziosa, che nella rosa (nelle rose) riconosce la possibilità di una complicità sottile, – afferma il critico d’arte Stefania Zuliani -, un’occasione di verifica ed, anche, un confortevole motivo di incertezza. Perché le rose che da secoli abitano la letteratura di corte e le feste popolari, i tacuina sanitatis come pure le facili canzonette di cui Proust – l’amatissimo Proust – ha tessuto, con perfetto snobismo, le lodi, hanno la bellezza precaria e insuperabile dell’ibrido, del vivente che si trasforma nell’intelligenza dell’incontro, trovando nell’ìnnesto , mai casuale, tra specie diverse, nutrimento e grazia provvisoria.
Così, disegnare dal vero il profilo indefinito di una rosa, tentare di restituirne per forza antichissima di pittura il rigoglio squillante o lo struggimento del rapido trapasso, laica vanitas che non conosce rimedio, è, certo, un esercizio di consolidato mestiere, ma è anche, assieme, una pratica di riflessione e un gesto apotropaico. Perché la rosa, simbolo così denso da sfiorare il silenzio, è, prima di ogni altra cosa, emblema di una caducità che non finisce, di una vita brevissima che continuamente si rinnova, caduta e rinascita che non lascia margini all’elegia essendo piuttosto, così almeno accade nei lavori di Paolo Signorino, affermazione costante, persino ossessiva, di una vitalità che per un attimo conquista la forma e si manifesta in immagine, senza misteri e senza infingimenti.
Signorino chiama per nome le sue rose, ricorda chi gliene ha fatto dono, in quale giardino o in quale orto le ha incontrate, ogni foglio reca traccia, in petali e spine , di una storia singolare, di un dialogo, di un’amicizia e di uno scambio, anche con lingue e culture sempre meno lontane e straniere. In fondo, a tenere assieme quarant’anni di rose, còlte e quindi dipinte, è, al di là degli aspetti stilisti e formali, soprattutto la continuità di una vicenda biografica che nell’esperienza quotidiana della pittura ha saputo riconoscere il proprio movente e il proprio coltivato limite. Una pittura, e prima ancora un disegno, immancabilmente dal vivo, e per questo fragili. E, proprio come una rosa, felicemente impuri”.