La poetica del Verismo elaborata da Luigi Capuana nel primo periodo della sua attività critica, aveva la sua base in quella regola fondamentale: ritrarre direttamente dal vero. Con il passare degli anni e delle opere, sicuramente sotto l’influenza del De Sanctis, ma soprattutto del rinascente spriritualismo, il Capuana non si tenne fermo ai principi da lui stesso elaborati, e finì per ammettere che anche con i canoni della poetica verista non si poteva realizzare l’opera d’arte se non interveniva l’immaginazione. Il Decameroncino, il diminutivo del titolo ci rimanda al Boccaccio, ma quest’opera del Decamerone mantiene solo la struttura minima, la suddivisione in dieci giornate, ma nient’altro ha a che vedere con la caleidoscopica narrativa boccaccesca. Le dieci giornate di Luigi Capuana si svolgono nel salotto della baronessa Lanari, secondo il costume dell’epoca, che vede raccolte, intorno a persone di lignaggio e spirito, alcune menti brillanti che si rallegrano conversando di temi dell’attualità italiana di fine Ottocento. I frequentatori di questo salotto borghese vengono amabilmente intrattenuti dall’ultra ottantenne medico Maggioli, il quale in ognuna delle dieci giornate inventa una storiella per i suoi amici. L’anziano affabulatore trova gusto nel porre interrogativi talvolta vicino alla scienza. Le sue storie, centrate spesso su temi dell’avanguardia culturale ottocentesca, sospese tra progresso e mistero, tra certezza del corpo e arcano della psiche, giungendo fino al paradosso fantastico e al tratto fantascientifico, vedono il dottor Maggioli protagonista oltre che narratore. Un libro da leggere, un classico sempre attuale sia nella scrittura, sia nelle problematiche e i quesiti che pone.