Sino a qualche tempo fa il nostro era un Paese a rischio libertà. Una massiccia campagna mediatica, nella quale, devo dire, non ho mai creduto, ci informava che eravamo dietro quello o quell’altro paese africano, asiatico, sudamericano. Il “tiranno” che governava la nostra nazione tirava anche i fili dell’informazione e noi tutti, novelli balilla chiamati all’esercitazione quotidiana, rafforzavamo le nostre meningi a suon di propaganda di regime o meglio di TV spazzatura che ci dava una immagine falsata del nostro paese, della nostra vita, del mondo che ci circondava.
Fermo restando, comunque, che non ho mai creduto in tutto ciò, anche perché non mi sono mai sentito né balilla, né indirizzato, né tantomeno forzato in un verso o nell’altro, nello svolgere il mio mestiere di giornalista, penso che l’Italia sia e sia stata la patria della massima libertà. Parlo ovviamente di un tempo a me noto. Parlo degli anni che mi hanno accompagnato fin qui. So bene che la storia della nostra nazione è stata segnata da eventi e da epoche buie, come del resto è la storia del mondo, ma io mi sono sentito libero. Libero di pensare e scrivere, di criticare ed elogiare. Sono stato anche libero di leggere quello che mi pareva e persino di utilizzare il diabolico telecomando per voltare la mia intelligenza verso altre attenzioni ricusando quanti provavano a farmi il lavaggio del cervello. Sono stato, forse, fortunato? Forse l’ambito sociale in cui vivo, la famiglia, il mestiere che ho scelto di fare mi hanno aiutato? Forse si! Ma la libertà è pur sempre una conquista. Oggi nella nostra nazione siamo comunque liberi di esprimerci come meglio ci pare, di usare i termini che riteniamo più consoni alla nostra cultura. Siamo liberi di lasciarci affascinare dalle lingue anglosassoni e trasformare dei tagli alla spesa pubblica in una molto meno dolorosa “Spending review”. La scorsa notte da Londra si parlava del Badminton e del fatto che in italiano quello sport a mezzo tra pallavolo e tennis un nome ce l’ha ed è volano, ma vuoi mettere la contorsione logopedistica di tutte quelle consonanti di fila?
Siamo liberi al punto tale che possiamo addirittura interrompere un concerto nel bel mezzo della sagra cittadina ed augurare al boss di turno, meglio se si è macchiato di efferati delitti proprio nel medesimo paesotto, “una presta libertà”. Ed è allora che non mi sento più libero. Mi guardo intorno e non vedo più lo Stato, le istituzioni. Quelli che già normalmente risultano slegati dalla realtà, quegli “statisti”, quei politici, quei professori già così pesantemente eterei, sembrano del tutto evaporati. Tutto intorno è arido, un deserto dove i Tartari non si vendono, ma si percepiscono, reali, coperti da enormi nubi di polvere, là in fondo.
Gennaro Cirillo