Se nei prossimi giorni un giudice dovesse notificarci un avviso di garanzia collettivo per un’indagine di omicidio colposo, non meravigliamoci più di tanto. Perché anche se non ricordiamo di aver commesso crimini è bene sapere che siamo tutti responsabili dell’assassinio di trentasei lavoratori avvenuto in Sudafrica. Minatori impegnati nell’estrazione del platino da una miniera di Marikana, a cento km da Johannnesburg, di proprietà di una potente azienda britannica, la Lonmin, terzo produttore al mondo di questo metallo.
Gli operai uccisi erano, insieme a tantissimi colleghi, molti dei quali rimasti feriti, in sciopero dallo scorso 10 agosto per rivendicare un salario migliore e condizioni di lavoro più dignitose. Perché spaccarsi la schiena ed essere trattati come schiavi per quattrocento euro al mese è una cosa che nessuno può accettare. L’azienda dal canto suo ha rifiutato ogni trattativa ed ha, marchionnamente, intimato a tutti di interrompere la protesta, minacciando un licenziamento in massa. La situazione è così entrata in stallo, la tensione è di giorno in giorno salita, finché la polizia intervenuta per controllare lo sciopero ha aperto il fuoco sui manifestanti, facendo una vera e propria mattanza. Trentasei morti, appunto, e più di settanta feriti.
Gli avvocati assunti per difenderci dall’accusa di omicidio colposo sicuramente argomenteranno che nessuna prova ci collega al crimine in questione, che a conti fatti è avvenuto in un altro continente e a quasi ottomila km di distanza. Eppure, a pensarci bene, le prove ci sono. Ecco alcuni esempi.
Ricordate l’automobile che, con tanta cura, abbiamo parcheggiato in strada? La sua marmitta catalitica, quella che ci permette di dormire sonni tranquilli ed ecologici, contiene platino, estratto dai lavoratori massacrati. E il gioiello con diamante che abbiamo regalato a Natale alla nostra fidanzata, quello acquistato a rate dal gioielliere di fiducia, ricordate? Anche quello di platino. E ricordate il pace-maker impiantato al nonno cardiopatico? Anche quello contiene platino.
Non lo immaginavamo ma siamo circondati da prove che ci inchiodano alle nostre responsabilità. Siamo colpevoli perché tutto il sistema consumistico da noi sostenuto è fondato sullo sfruttamento delle preziose materie prime africane. Se in Africa i minatori percepissero un salario giusto e vivessero in condizioni dignitose, la produzione di tecnologia a basso costo, che tanto ci piace, sarebbe impossibile da realizzare.
Se un giudice dovesse notificarci l’avviso di garanzia, vista la mole di prove a nostro carico, ci converrebbe patteggiare e sperare in una pena più mite. Perché la condanna è certa, siamo veramente tutti colpevoli.
Ferdinando Fontanella