Incatenato da tre giorni alla rotonda di via Astolelle all’ingresso del centro commerciale “La Cartiera” di Pompei. Questa è la storia di Fabrizio, 39 anni, due figli, ex operaio della storica cartiera di via Macello. Per lui e altri 36 ex cartai il nuovo centro commerciale, sorto dalle ceneri della loro fabbrica, rappresentava il miraggio di un lavoro presto svanito. Impiegati nella ditta dei servizi dell’ipermercato, infatti, Fabrizio e altri 7 ex Aticarta sono stati licenziati il 28 luglio e da allora non percepiscono alcuno stipendio. Eppure per lui come per gli altri compagni di sventura si tratta della cronaca di un licenziamento annunciato. Gli ex cartai, infatti, sono stati gli ultimi ad entrare e i primi ad uscire dal nuovo centro commerciale. Eppure, sulla carta, erano proprio loro i più tutelati. “La Cartiera”, infatti, è stata costruita per riconvertire l’ormai dismessa Aticarta e dare lavoro ai suoi operai. Per questo nel 2006 i sindacati, il sindaco Claudio D’Alessio, regione e ministero per lo sviluppo economico hanno previsto che nella nuova struttura gli ex dipendenti venissero assunti in via prioritaria, a tempo pieno e indeterminato. Grazie a questo accordo è stato realizzato uno dei più grandi centri commerciali della Campania, con concessioni e autorizzazioni di cui molti mettono in discussione la legittimità contestando abusi o sviste da parte di un’amministrazione che tanto ha investito come immagine su questa operazione. Non più tardi di tre mesi fa, infatti, il sindaco Claudio D’Alessio affermava di essere riuscito a realizzare la prima riconversione in Campania da decenni e annunciava, con manifesti sparsi nell’intera città, la soluzione del problema occupazionale dei lavoratori ex Aticarta. Oggi, a quasi cento giorni dall’apertura dell’ipermercato, possiamo asserire che il problema occupazionale resta con quasi la metà degli interessati ormai espulsi dal circuito lavorativo del centro commerciale. Nessun sindacato si è fatto vedere alla rotonda della protesta e lo stesso primo cittadino latita. Mancano all’appello anche i suoi manifesti festosi che adesso dovrebbero listarsi a lutto e ammettere che la riconversione è fallita. Perché riconvertire non significa solo trovare una nuova destinazione produttiva, ma anche garantire il lavoro di quanti erano occupati nell’impresa precedente. Tutto questo invece non è stato fatto: si è comprato il terreno a un prezzo di favore perché la nuova struttura aveva in dote gli operai da ricollocare, si è fatta una costruzione imponente con tutte la autorizzazioni del caso, e intanto gli operai sono in strada. è come se si comprasse una casa con degli inquilini, ottenendola a un costo più basso, per poi sfrattare i suoi abitanti. Tutto questo non sarebbe possibile in un paese democratico dove la legalità è la premessa dei rapporti civili. Né sarebbe tollerabile che un primo cittadino, che ha tagliato il nastro inaugurale del centro e si è sempre proclamato vicino ai lavoratori, da tre giorni non venga a manifestare neanche un segno di solidarietà umana ad una persona che vive una situazione drammatica. Ma ovviamente questo non è un paese normale. È il paese di Pinocchio dove i patti non sono rispettati e le promesse non sono mantenute nell’indifferenza complice di quanti pensano che la campana suoni sempre per gli altri.
Claudia Malafronte