È un mito in assenza di eroi quello riscritto dal regista napoletano Gabriele Russo che con il suo “Odissea napoletana- in assenza del padre” inaugura la stagione teatrale del Bellini e conclude il Napoli Teatro Festival. In un mondo primordiale, dove anche il linguaggio ha gli accenti primitivi del dialetto, la società vede la lotta feroce dei dominati contro i dominanti. Questi ultimi sono i celebri Proci che con la loro bombetta rappresentano i nuovi profeti dell’economia che assoggettano il popolo con le loro leggi incomprensibili e spietate. Ai dominati, quindi, non resta che sperare in un salvatore, il leggendario Ulisse che dovrà liberarli dalla loro tremenda oppressione. Sarà Telemaco a partire alla ricerca del padre ma invano perché il misterioso Odisseo stavolta non tornerà alla sua petrosa Itaca. Perso in chissà quali battaglie e mari lontani il genitore abbandonerà il figlio e il popolo al loro destino. In questo l’opera teatrale ribalta i canoni della tragedia classica: non sarà il figlio a uccidere il padre per compiere il suo destino come in “Edipo” o nei “Fratelli Karamazov”. In questo caso sarà l’assenza del padre a impedire il compimento del destino del figlio che si perderà in una ricerca disperata e impossibile. Il popolo, abbandonato dal suo re, lascerà Telemaco schiavo dei Proci, preso dai giochi elargiti dal potere per distrarlo. Tra questi balocchi non vi sarà solo un ipnotico pallone ma anche un’informazione asservita, rappresentata da una bellissima ragazza al guinzaglio dei potenti di turno. Quando, infatti, i Proci intendono tenere a bada il popolo concedono loro un referendum con due semplici quesiti: “Volete abolire la creatività?” e “Volete il ritorno d’Ulisse?”. Ma anche quello che dovrebbe essere uno strumento di democrazia diretta diventa un’arma dei governanti grazie a un’informazione che condiziona l’opinione pubblica nella direzione da loro voluta. E se corresse voce che un eccesso di creatività nel mondo fa male? O che Ulisse, in fondo, è solo un cialtrone? Questo si chiedono i Proci consapevoli di poter piegare il popolo al proprio volere con un’informazione corrotta, megafono del potere. Alla fine sarà Polifemo, gigante accecato da “Nessuno”, a incitare il popolo a svegliarsi, provocando una lotta anarchica dove dominante e dominato si scambiano continuamente i ruoli; in un caos cui solo le forze della natura mettono fine col terremoto conclusivo e catartico. A mettere in scena questa distopia verosimile è un gruppo di interpreti giovani, le vere vittime di questo mondo spietato dove lo slogan è correre per andare in nessun luogo tra sogni che non si realizzano, ovviamente, per colpa del sognatore, sostiene la propaganda dei potenti. Tra gli artisti presenti sul palco spicca la figura di Luca Varone, attore e regista trentatreenne, di origine pompeiana, al suo debutto con la compagnia del teatro stabile del Bellini. Forgiato dalle esperienze teatrali internazionali, da Roma a New York, l’interprete partenopeo si distingue tra il popolo come colui che infrange per sempre le speranze di Telemaco di trovare il padre, insieme ad una moglie altrettanto spietata, simbolo di un’umanità alla deriva. In uno scenario ostile e arido, fatto di dura terra che invade la platea e abbraccia i corpi degli interpreti condannati a soccombere alla furia dell’uomo e della natura, si scrive, quindi, un dramma antico e moderno insieme. La vera tragedia, infatti, è il rapporto dell’uomo con il potere, un uomo incapace di farsi libero e di uccidere il tiranno dentro se stesso. In assenza di libertà l’uomo elabora miti, dei e eroi cui affida il sogno di pace e giustizia universali. Ma gli dei si sono ritirati dal mondo, gli eroi non ritornano e allora l’uomo dovrebbe affidarsi a se stesso e realizzare da sé i propri ideali. Altrimenti, come ci insegna quest’opera, la catastrofe imminente sarà inevitabile.
Claudia Malafronte