Negli scavi di Pompei si è persa la bussola. A raccontare la decadenza di uno dei siti archeologici più importanti al mondo non sono tanto i crolli clamorosi, quanto la mancanza di un’attenzione elementare, i dettagli minimi che raccontano l’amore o il disamore per una persona o un luogo. Chiunque si sia recato negli scavi dall’ingresso di Porta Marina, il principale insieme all’anfiteatro, ha potuto vedere due cartelli sovrapposti e contradditori: l’uno indica il divieto di accesso anche pedonale, l’altro la direzione obbligatoria di uscita per i medesimi pedoni. Come sostiene l’arch. Antonio Irlando , responsabile dell’ Osservatorio Patrimonio Culturale, “La segnaletica invece di chiarire, confonde le idee ai visitatori”. Only the brave insomma. E che ci voglia particolare coraggio per entrare da Porta Marina è evidente, se si considera la salita titanica che attende gli intrepidi visitatori costretti a “scalare” gli scavi. Per ragioni di sicurezza, quindi, è stato disposto che quella salita possa fungere solo da entrata e non da uscita, essendo pericolosa per l’incolumità dei visitatori soprattutto in caso di pioggia. Di conseguenza, sarebbe essenziale indirizzare i turisti verso l’uscita del tempio di Venere, munita di una scala moderna e sicura. Invece “grazie” a questa segnaletica i visitatori solitari sono allo sbando mentre le guide turistiche hanno difficoltà ad incanalare correttamente il flusso dei copiosi gruppi in uscita. Né si tratta di un caso isolato. Per arrivare alla celebre Villa dei Misteri, infatti, mancano cartelli che indichino la via tortuosa e diroccata che occorre percorrere per visitarla. Arrivati alla fine di una strada impervia e solitaria ci si imbatte in un cancello che sembra segnare la fine del sito e che scoraggia i visitatori dal proseguire il cammino. Molti turisti, quindi, escono dagli scavi senza vedere la villa e quelli che vorrebbero rientrare, realizzato l’errore, non possono farlo perché il biglietto non consente di accedere una seconda volta al sito. Per non parlare ovviamente, dei visitatori muniti di audio guida che lamentano una segnaletica delle domus sbiadita o imprecisa, per cui è difficilissimo usufruire della spiegazione registrata .Né va meglio per gli incauti utenti della circumvesuviana che, a parte i disagi che riesce a causare da sé ai malcapitati utenti, non viene indicata da nessun cartello presso il tempio di Venere, che pure dovrebbe essere l’uscita convenzionale. E non ci vuole molta immaginazione per comprendere l’esigenza per i turisti, una volta usciti, di usufruire dei mezzi pubblici. Né va meglio per chi viene a Pompei da Napoli con l’autobus della Sita. In quest’ultimo non è segnalata la fermata per gli scavi, sicchè i poveri turisti sono in balìa della buona volontà degli autisti (quando si accorgono di stranieri a bordo) o degli altri viaggiatori. Questi ultimi, poi, devono indicare anche la direzione degli scavi, segnalata in maniera pessima dalla parte opposta della strada rispetto alla fermata della Sita. In tal modo quindi, anche i “fortunati” visitatori che centrano la fermata per Porta Marina, senza assistenza, finiscono per proseguire a piedi fino alla più lontana entrata di Porta Anfiteatro. Cosa ci racconta, in definitiva, questa storia della caotica segnaletica degli scavi? A narrarla sembra che invece di un percorso turistico ci siamo imbattuti in un cammino mistico. Solo così possiamo spiegarci perchè solo i migliori potranno raggiungere la meta, scorgendo gli imperscrutabili segni che la provvidenza ha posto sul lungo cammino per la città sepolta, neanche si trattasse dei misteri dei libri di Dan Brown. Niente di così elevato e trascendentale purtroppo. È la solita italica pigrizia, goffaggine o peggio indifferenza per la cura e la precisione dei dettagli che farebbero sentire il turista importante e desiderato, invogliandolo a tornare. Qui non c’è la fermata per la Gare d’Orsay che si chiama, guarda caso, “Gare d’Orsay”, sarebbe troppo facile; né rue de Rivoli dove ad ogni angolo ci sono indicazioni per il “Louvre”. E Pompei non avrebbe niente de invidiare ad entrambi. Solo una gestione sgangherata può renderla ancella di siti che non potrebbero competere per fascino, atmosfera e semplice, eterna bellezza. Qui non siamo in Francia. Non si sa dove uscire, figuriamoci dove entrare. Anzi forse è proprio questo l’intento inconscio. Non far venire più nessuno, così nessuno si accorge se qualcosa cade, si rompe o scompare. E se continua così non c’è dubbio che tra poco nessuno verrà più, come accade negli altri siti vesuviani dove le presenze diminuiscono fino a scomparire. E con esse scompariranno anche gli scavi perché come diceva, con tristezza ma anche con un pizzico di amore, un vecchio custode “gli scavi li guardano (dal napoletano: li proteggono) i turisti”.
Claudia Malafronte