Scavi di Pompei: viaggio tra gli sprechi mentre la tutela UNESCO è a rischio

La strada da Parigi a Pompei è lunga. A percorrerla sono i rappresentanti del MIBAC e dell’UNESCO che, a un anno dalla sottoscrizione dell’accordo parigino, si sono ritrovati nella città vesuviana per fare il punto della situazione. L’obiettivo è creare un metodo di gestione efficiente dei beni culturali. Pompei, Ercolano e Oplontis sono progetti pilota che dovranno rappresentare un modello di caratura mondiale. L’intesa è frutto delle osservazioni raccolte, tra 2010 e 2011, dagli esperti dell’ICOMOS e dell’ente delle Nazioni Unite, nelle aree archeologiche vesuviane. Al summit pompeiano hanno partecipato i vertici delle istituzioni coinvolte: dal Segretario Generale Antonia Pasqua Recchia al Direttore Generale per le Antichità Luigi Malnati per il MIBAC, alla Soprintendente di Pompei Teresa Elena Cinquantaquattro, al Direttore Generale dell’ICCROM Stefano De Caro, al Vice Direttore Generale per la Cultura Francesco Bandarin dell’UNESCO. Assenti i sindaci, pur invitati, delle aree interessate. Allo studio forme di intervento proficue, in accordo coi privati, come nell’esperienza dell’HCP (Herculaneum Conservation Project), l’investimento Pakard a Ercolano che ha preservato la città dal degrado degli altri siti vesuviani. La verità, però, è che Pompei è sotto esame. Il workshop è, infatti, la prima tappa per la stesura, entro il febbraio 2013, di un rapporto sullo stato di conservazione del sito in vista della valutazione del Comitato del Patrimonio Mondiale nel 2013. Secondo alcune indiscrezioni l’UNESCO avrebbe dato un ultimatum alla SANP: sei mesi per preparare il piano di gestione o Pompei è fuori dall’elenco dei siti tutelati dall’agenzia ONU. I problemi sono l’organico e le risorse. In particolare i 105 milioni di euro stanziati dall’UE per manutenzione e restauri. Sui finanziamenti comunitari l’appuntamento è rimandato a gennaio, quando, a Pompei, tornerà l’UNESCO  e forse anche il commissario Johannes Hahn, in concomitanza con l’apertura dei primi cantieri europei. Il ritardo su tali opere è stato annunciato ad ottobre dal ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca. Causa camorra, infatti, che, oltre a essere una piaga, a volte, è  una buona scusa per mali e disservizi altrui, i lavori sono rimandati di ben sei mesi, in spregio a qualsiasi efficienza europeista o tecnica. Evidentemente l’Europa, stavolta, non avrà  preteso l’efficienza per spendere i suoi soldi; giusto un centinaio di milioni di euro. In ogni caso, non si tratta della sola affermazione del ministro che  ha fatto discutere. Pochi giorni fa, intervenendo agli stati generali della cultura, Barca ha dichiarato che: “A Pompei sono stati spesi soldi inutili per progetti cattivi e inesistenti”. A rispondere, il presidente dell’osservatorio sul patrimonio culturale, Antonio Irlando: “Sarebbe veramente molto utile conoscere nel dettaglio quanti soldi sono e perché, e quali progetti inesistenti”. Ma, come Ornaghi, che affermò “Via la camorra dagli scavi di Pompei” senza nulla aggiungere, a slogan sconcertanti non corrispondono spiegazioni convincenti. Tuttavia, nel caso degli sprechi, possiamo provare a formulare alcune ipotesi. Basti pensare alla cattedrale di vetro realizzata all’esterno dell’entrata dell’anfiteatro. Appalto previsto per più di 2milioni di euro, a fine 2006, e struttura realizzata da diversi anni. Utilità sconosciuta. In realtà nel progetto originario l’opera doveva fungere da bookshop, ma finora ha ospitato solo una mostra temporanea della protezione e civile e poi più nulla. Il pugno nell’occhio però resta. Per non parlare della mega- struttura metallica che si vede da via Roma, a pochi passi da porta anfiteatro. Anche qui, la destinazione è ignota mentre il “valore” di ecomostro è visibile a occhio nudo e persino inesperto. E cosa dire dei 7milioni e 500mila euro che sarebbero stati spesi per il teatro grande? Chiamarlo restauro sarebbe un insulto linguistico e mancano le parole per una distruzione palese dell’antica rovina romana, che da rovina era meglio che “restaurata”. E pensare che, come denuncia lo stesso Irlando basandosi su un documento della commissione cultura del Senato, il progetto iniziale sarebbe stato di soli 500mila euro. Come poi siano lievitati fino a quella cifra milionaria non è dato saperlo, ma il “mirabile” risultato è sotto gli occhi di tutti. L’almanacco degli sprechi potrebbe continuare e ci si ferma per sopravvenuto scoramento. Ma tutto ciò, da solo, sarebbe sufficiente per giustificare la marcia indietro dell’UNESCO. Uno smacco che uno dei siti archeologici più importanti al mondo non dovrebbe permettere perché questo sarebbe, tra i tanti crolli, davvero il peggiore.

                                                                                                                 Claudia Malafronte

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