Il futuro sarà più smart? Quando questa non sarà più una domanda, allora ci trasformeremo da cittadini sudditi, codardi e poco informati, in cittadini consapevoli e solidali, costruttori operosi di un’autentica “Comunità Intelligente”.
Quello che il governo ha immaginato nel decreto per la crescita, noto come “Agenda Digitale”, è una grande griglia nella quale sono tracciati gli scenari e le opportunità necessari per avviare la “rivoluzione” e disegnare un Paese nuovo e competitivo, con applicazioni diffuse di tecnologie e “approcci” digitali.
Sarà possibile strapparlo dalle paludi dell’inefficienza, dei privilegi e degli abusi di potere di una burocrazia ormai troppo vecchia e mortalmente cancerogena. Sarà possibile (forse) poter affermare che l’Italia è finalmente un “Paese fondato sui saperi”, condizione preliminare per dare piena attuazione al principio costituzionale che “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”.
La trasformazione digitale del mondo – in cui la condivisione universale delle informazioni è il carburante – dovrà registrare anche il contributo creativo e innovativo di “nuovi italiani”, perché consapevoli “Persone Digitali”, secondo le straordinarie elaborazioni filosofiche di Derrick De Kerchove e Maria Pia Rossignaud, pubblicate dalla rivista di cultura digitale “Media Duemila”.
La “persona digitale” sarà attore e costruttore dell’intera “Umanità Digitale”, nella quale nessuno resterà indietro e dove proprio tutti potranno – consapevolmente – contribuire a costruire le nuove “infrastrutture umane”, rese possibili dalle tecnologie digitali.
L’umanità digitale costruirà la propria architettura della convivenza pacifica, sulla condivisione di saperi e valori diversi. Pregiudizio, incomprensione e diffidenza sono termini che potrebbero scomparire dai singoli linguaggi nazionali. Al contrario, parole come pace, solidarietà e “bene comune” verranno declinate ed anche vissute allo stesso modo in ogni parte del mondo.
L’architettura dell’Italia 2.0 prenderà forme, animerà luoghi, elaborerà pensieri, produrrà conoscenze, diffonderà saperi, creerà lavoro e buon futuro per tutti, se smart non saranno solo city ingolfate di “sensori” o lampioni con wifi incorporati. La smart city sarà la piattaforma digitale di conoscenza capillare dei luoghi. Ma quello che conterà – per non sprecare risorse e opportunità solo in giocattolini digitali – dipenderà da quanto sarà intelligente (smart) l’utilizzazione delle conoscenze e soprattutto dei bisogni sociali delle comunità. La politica, d’ora in avanti, dovrà essere misurata sul livello di “smart” che adotterà nella gestione dei beni comuni. La “smart city” diventerà lo strumento di selezione e scelta delle future classi dirigenti. C’è da sperare che questo non diventi il suo limite ad una rapida e piena attuazione del progetto di crescita dell’Italia. Ma la “Rete” e gli italiani – è chiaramente questa la tendenza – non perdonano la “vecchia politica”.
Antonio Irlando