Una recente ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’IGAG-CNR, in collaborazione con gli archeologi della Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale, ha rivelato che gli ingegneri dell’antica Roma, 2000 anni fa, allo scopo di realizzare manufatti più leggeri e resistenti importarono dalla Campania lave e pomici vesuviane.
Lo studio degli esperti è stato pubblicato in un articolo scientifico dal titolo: “Geochemical fingerprints of volcanic materials: Identification of a pumice trade route from Pompeii to Rome”, tradotto in italiano: “ Impronte geochimiche dei materiali vulcanici: identificazione di una rotta commerciale da Pompei a Roma per il trasporto della pomice”, edito dalla prestigiosa rivista Geological Society of America Bullettin.
A partire dalla tarda età repubblicana e per tutta quella imperiale – fanno sapere dall’INGV – i costruttori romani avevano sviluppato una particolare tecnica per creare calcestruzzi molto leggeri da utilizzare nei solai e nelle volte delle più importanti opere monumentali. Essi miscelavano con la pozzolana particolari scorie laviche molto porose e pomici, che univano forte resistenza a bassissima densità. Analizzando campioni di malta del Foro di Cesare (46-44 a. C.) e del Foro di Traiano (112 d.C.) , i ricercatori hanno inaspettatamente scoperto che gran parte dell’impasto di pomici e scorie laviche usato nelle volte proviene dal Vesuvio, e solo una piccola parte di pomici ha provenienza dal distretto vulcanico locale dei Monti Sabatini, 15 km a nord-ovest di Roma. In particolare, lo studio delle fonti storiche ha suggerito che la lava porosa e le pomici, provenienti da antiche eruzioni del Vesuvio, venivano estratte vicino alla città di Pompei e da lì esportate a Roma. Le altre pomici identificate nelle malte, invece, depostesi a seguito di eruzioni avvenute centinaia di migliaia di anni fa nel distretto vulcanico sabatino, trasportate dal vento fino a Roma e depostesi in sottili strati nel terreno, erano probabilmente estratte negli “arenari”, cunicoli scavati allo scopo di estrarre materiale per l’edilizia nel sottosuolo della città e successivamente utilizzati come catacombe.
Perché gli antichi romani adoperarono proprio i prodotti del Vesuvio, nonostante il territorio laziale sia altrettanto vulcanico ce lo spiega Fabrizio Marra, primo firmatario della pubblicazione. “L’area vulcanica più vicina a Roma il distretto dei Colli Albani, pur avendo avuto grandi eruzioni esplosive non ha mai prodotto pomici ma scorie piuttosto dense, che non hanno le necessarie caratteristiche di leggerezza. In secondo luogo, è probabile che la tecnica di realizzare questi calcestruzzi leggeri sia nata proprio a Pompei in ragione della presenza in loco di materiali con le caratteristiche appropriate. Non a caso Vitruvio, nel famoso trattato De Architectura fa riferimento ad una pumex pompeiana che gli archeologi identificano proprio con le scorie laviche impiegate dai costruttori romani. Il nostro studio ha dimostrato che quelle impiegate al Foro di Cesare e di Traiano hanno una impronta geochimica uguale a quella delle lave presenti intorno a Pompei. Inoltre abbiamo accertato che anche gran parte delle pomici hanno un’origine vesuviana. Evidentemente la costruzione delle volte del Foro di Cesare e di Traiano è stata commissionata a maestranze locali, che avevano esperienza dell’utilizzo di questi materiali”.
I materiali lapidei cavati al Vesuvio giungevano a Roma, quasi certamente, per mare. “A quell’epoca – continua Fabrizio Marra – esistevano intensi scambi commerciali tra il porto di Pozzuoli e quello di Ostia: è probabile che i carichi di pomici e scorie laviche venivano trasportati dal porto di Pompei a quello di Pozzuoli e da qui a Roma. A Ostia i carichi venivano trasbordati sulle navi caudicarie che, trascinate da corde tirate da muli, portavano le merci lungo il Tevere fino a Roma”.
Ferdinando Fontanella