Scavi di Pompei: il Bookshop che non c’è, la protesta degli invisibili

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Invisibili. Così si sono chiamati i lavoratori dei Bookshops degli Scavi di Pompei e Ercolano, siti dove transitano milioni di turisti e il loro lavoro è essenziale. Sono rimasti invisibili, purtroppo, anche agli occhi di ben tre ministri che hanno inaugurato i cantieri del grande progetto Pompei.  A fronte dei milioni di euro sciorinati e dei concorsi di idee decantati la loro storia sembra piccola eppure emblematica, gettando un’ombra di dubbio sulla fattibilità di quei progetti faraonici. La protesta degli invisibili è andata in scena nella mattinata di mercoledì 6 febbraio nello spazio antistante l’entrata di piazza Esedra, proprio vicino a quelle bancarelle che ne sostituiscono involontariamente il lavoro. La data e il luogo non erano scelti a caso: proprio lì sarebbero entrati i ministri Ornaghi, Barca e Cancellieri insieme al commissario europeo Hahn. Le autorità sfilano ma passano oltre. Partono i fischi e  i manifestanti restano lì con i loro striscioni e la loro dimostrazione pacifica. Se qualche rappresentante delle istituzioni si fosse sentito in dovere di fermarsi avrebbe potuto conoscere la loro vicenda kafkiana. Se, come ha sostenuto il ministro Barca, si apprende sperimentando avrebbero avuto qualcosa da apprendere da loro per evitare  che accadesse con altri lavoratori o altri appalti. Dal 25 gennaio 2013, infatti, i bookshops di Pompei e Ercolano sono chiusi a causa di un contenzioso tra Soprintendenza e Mondadori, aggiudicataria del servizio. I dipendenti hanno ottenuto un incontro con la Soprintendente Teresa Elena Cinquantaquattro la quale avrebbe dichiarato di essere in attesa di un parere dell’Avvocatura di Stato. I sindacati hanno chiesto la cassa integrazione straordinaria su cui dovrà pronunciarsi la Regione Campania.  Nel frattempo i quattordici lavoratori sono costretti a una riduzione di orario e di stipendio, lavorando a turno negli altri servizi di didattica e deposito bagagli. Il paradosso è che il lavoro c’è, è redditizio e qualificato. La loro chiusura crea un pregiudizio ai turisti che non hanno le edizioni di pregio dei  bookshops e sono obbligati a rivolgersi agli ambulanti esterni. La stessa Soprintendenza ne subisce un danno di immagine oltre che di introiti, non percependo le royalties dal relativo servizio. I lavoratori, quindi, rimangono sospesi nel limbo di in una serrata a tempo indeterminato senza risposte certe. Di fronte a un’emergenza minima, dunque, non si riesce a trovare una soluzione, neanche temporanea. Pensare che le stesse persone gestiscono il grande progetto Pompei e i suoi 105 milioni non può che far rabbrividire.

                                                          Claudia Malafronte

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