Le recenti clamorose conclusioni dell’indagine della Procura della Repubblica di Torre Annunziata sugli scavi di Pompei hanno spiegato uno squallido scenario di truffe e spreco di ingenti risorse. Sono soldi pubblici, secondo gli inquirenti, che sono stati sottratti alla conservazione di uno dei più importanti patrimoni archeologici mondiali, da molti anni interessato da crolli e distruzioni quotidiane.
“Osservatorio Patrimonio Culturale” ha definito l’indagine come ”il più importante contributo finora attuato per arginare il degrado conservativo e gestionale degli scavi di Pompei”.
I significativi risultati giudiziari sono il frutto di un competente lavoro svolto dagli inquirenti. Determinante, però, è stato il contributo di conoscenza e denunzia costante proposto dal mondo dell’informazione. Vediamo in che modo. Con un grande giornale (Corriere della Sera) che, per primo, nel 2010, ha raccontato lo scempio del “restauro-stupro” del teatro degli scavi di Pompei. Con tanti giornalisti che lo hanno descritto con rigore, puntualità, competenza e passione civile. Con uno storico giornale territoriale (Il Gazzettino Vesuviano) che ne ha fatto una “bandiera” per affermare la volontà di chi non si vuole arrendere alla distruzione del più importante patrimonio archeologico della nazione. Con tanti giornali e tv del mondo intero.
Però, il grande contributo per arginare il degrado di Pompei, causato da gravi responsabilità gestionali, si è avuto dal web. Senza i nuovi strumenti della comunicazione, le “persone digitali” che “vivono” nel territorio democratico della rete, il “popolo” di internet, non avrebbero potuto creare un vasto movimento d’opinione pubblica internazionale che è stato utilissimo (per dirette ammissioni “politiche”) anche per convincere l’Unione Europea a stanziare 105 milioni per la conservazione dell’area archeologica pompeiana.
La rete ha prodotto in “facebook” un gruppo militante (Stop Killing Pompeii Ruins) che ha costantemente informato sui mali di Pompei per contrastarne il dilagare. Sul social network è stato pubblicato il primo video che mostrava e faceva sentire martelli pneumatici all’opera tra i delicati resti del teatro romano di Pompei. Nell’era senza il web, l’immancabile “censura istituzionale” avrebbe forse bloccato la diffusione di immagini, certamente non gradite ai burocrati dei beni culturali. E invece tutti hanno visto e sentito, hanno letto, approfondito e si sono “costruttivamente indignati”.
Antonio Irlando