Scavi di Pompei: consumi energetici elevati, la diagnosi in una ricerca

scaviLa città sepolta consuma energia e anche molta. Un paradosso scoperto e analizzato dalla dott.ssa Bruna Rubichi nel suo dottorato di ricerca presso la SUN, sotto la guida della prof.ssa Marina Fumo. Tre anni di studi sul campo per giungere a un voluminoso dossier dal titolo emblematico: “Processi e tecnologie per una gestione energetica sostenibile dei siti archeologici: il caso di Pompei scavi”. Spunto della ricerca, l’intervento del segretario del MIBAC, Antonia Pasqua Recchia, a un convegno  nel 2011 a Milano. L’obiettivo è dettare linee guide ministeriali per rendere efficiente la gestione dell’energia nei siti archeologici e culturali italiani. La difficoltà maggiore è conciliare la tutela del patrimonio con l’utilizzo delle nuove tecnologie che consentano di sfruttare fonti di energia alternativa e ridurre l’inquinamento. Per ora le intenzioni del Mibac sarebbero rimaste tali. A tracciare una diagnosi dell’esistente e offrire possibili soluzioni è proprio la dott.ssa Rubichi che ha condotto un’indagine accurata su Pompei. Un modello, sostiene la studiosa, replicabile in altre realtà archeologiche, con un risparmio di spesa che potrebbe essere utilizzato per la tutela.

Dott. ssa Rubichi quali sono i risultati del suo studio?

“Innanzitutto è necessaria una premessa. La crisi energetica mondiale impone la ricerca di forme di sviluppo sostenibili. Sotto accusa le città, responsabili del 70% del consumo dell’energia. Gli scavi rappresentano una vera e propria città nella città. Quando ho iniziato i miei studi mancava un piano di gestione energetica e non vi erano dati oltre a quelli ricavabili dalle bollette. Ho dovuto ricostruire un quadro completo tenendo conto delle diverse fonti di consumo dell’energia: unità edilizie fuori e dentro le mura, illuminazione e eventi stagionali. Da questa lettura in chiave energetica del sito ho rilevato che vi è un notevole dispendio di risorse nella dead city. Basti pensare ai dati dei due anni su cui ho lavorato in particolare. Nel 2009 abbiamo avuto 126mila euro di spese ordinarie e 29mila euro straordinarie. Nell’anno successivo quelle ordinarie lievitano a 160mila euro e quelle extra ammontano a 24mila. In questo biennio vi sono stati anche gli eventi stagionali come spettacoli e visite notturne. In questo caso viene utilizzato un gruppo elettrogeno dai consumi e dalla spesa elevati. Basti pensare che per tre mesi (Agosto – Settembre – Ottobre) sono stati pagati oltre 11mila euro. Si tratta di costi evitabili con le attuali tecnologie e utilizzabili per garantire la conservazione e manutenzione del sito”

Quali sono le  soluzioni da Lei individuate?

“A breve termine sarebbe possibile modificare i sistemi di illuminazione esistenti, dispendiosi e talvolta nocivi per il materiale antico, con altri più efficienti.  Penso, ad esempio, all’utilizzo dei  Led che garantirebbero un risparmio notevole. Sul lungo periodo, invece, la soluzione  può essere il fotovoltaico. Ho calcolato, infatti, che esistono ben 12mila metri quadri di superficie coperta negli scavi. Ovviamente si tratta di interventi diversi che richiedono un trattamento differenziato. Molte di queste coperture, tuttavia, sono fatiscenti e devono essere comunque sostituite. Utilizzando gli impianti fotovoltaici si potrebbero anche evitare i cablaggi che recidono il sito, tenendo conto che le recenti evoluzioni ne hanno fornito versioni sempre meno impattanti. Quello che ho voluto individuare col mio lavoro di ricerca, in definitiva, è un diagnosi dell’esistente che, se utilizzata, potrebbe portare benefici alla città vecchia e metterla in rete con la città nuova. Un modello, quello di Pompei, reiterabile nelle altre realtà archeologiche di tutta l’Italia”.

                                                                         Claudia Malafronte

 

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