Dott. ssa Rubichi quali sono i risultati del suo studio?
“Innanzitutto è necessaria una premessa. La crisi energetica mondiale impone la ricerca di forme di sviluppo sostenibili. Sotto accusa le città, responsabili del 70% del consumo dell’energia. Gli scavi rappresentano una vera e propria città nella città. Quando ho iniziato i miei studi mancava un piano di gestione energetica e non vi erano dati oltre a quelli ricavabili dalle bollette. Ho dovuto ricostruire un quadro completo tenendo conto delle diverse fonti di consumo dell’energia: unità edilizie fuori e dentro le mura, illuminazione e eventi stagionali. Da questa lettura in chiave energetica del sito ho rilevato che vi è un notevole dispendio di risorse nella dead city. Basti pensare ai dati dei due anni su cui ho lavorato in particolare. Nel 2009 abbiamo avuto 126mila euro di spese ordinarie e 29mila euro straordinarie. Nell’anno successivo quelle ordinarie lievitano a 160mila euro e quelle extra ammontano a 24mila. In questo biennio vi sono stati anche gli eventi stagionali come spettacoli e visite notturne. In questo caso viene utilizzato un gruppo elettrogeno dai consumi e dalla spesa elevati. Basti pensare che per tre mesi (Agosto – Settembre – Ottobre) sono stati pagati oltre 11mila euro. Si tratta di costi evitabili con le attuali tecnologie e utilizzabili per garantire la conservazione e manutenzione del sito”
Quali sono le soluzioni da Lei individuate?
“A breve termine sarebbe possibile modificare i sistemi di illuminazione esistenti, dispendiosi e talvolta nocivi per il materiale antico, con altri più efficienti. Penso, ad esempio, all’utilizzo dei Led che garantirebbero un risparmio notevole. Sul lungo periodo, invece, la soluzione può essere il fotovoltaico. Ho calcolato, infatti, che esistono ben 12mila metri quadri di superficie coperta negli scavi. Ovviamente si tratta di interventi diversi che richiedono un trattamento differenziato. Molte di queste coperture, tuttavia, sono fatiscenti e devono essere comunque sostituite. Utilizzando gli impianti fotovoltaici si potrebbero anche evitare i cablaggi che recidono il sito, tenendo conto che le recenti evoluzioni ne hanno fornito versioni sempre meno impattanti. Quello che ho voluto individuare col mio lavoro di ricerca, in definitiva, è un diagnosi dell’esistente che, se utilizzata, potrebbe portare benefici alla città vecchia e metterla in rete con la città nuova. Un modello, quello di Pompei, reiterabile nelle altre realtà archeologiche di tutta l’Italia”.
Claudia Malafronte