Si scrive Pompei e si legge Italia. Questa la chiave di lettura dell’articolo che il quotidiano francese Libèration dedica al sito archeologico più famoso del mondo. Emblematico il titolo: “Pompei: la storia cade in rovina”. Una disamina, quella d’oltralpe, a trecentosessanta gradi dei mali della città sepolta: dai crolli a catena alle inchieste sugli appalti, dal Grande Progetto Pompei all’ombra della camorra, più volte richiamata dai ministri per giustificare ritardi e controlli speciali sulla legalità degli appalti europei. Pompei, quindi, diventa davvero metafora del destino del paese alla vigilia delle elezioni, come sostenne il ministro della cultura Ornaghi. Questa volta, però, in negativo. Un’Italia che, per i francesi, è arrivata alla “catastrofe culturale”: ospita 47 dei 962 siti dell’UNESCO, eppure non fa che tagliare i fondi alla cultura, per cui spende cinque volte in meno della Francia. Dal Colosseo a Villa Adriana, il patrimonio culturale è in decadenza, scrivono i francesi, ma Pompei è la massima espressione del degrado tra erbacce, cani e domus chiuse come i Casti Amanti o i Vettii. Solo il 6 febbraio il commissario europeo Hahn diceva: “Cinquant’anni fa erano aperte cinquanta domus, ora soltanto cinque”. Colpa non solo dell’assenza dei fondi ma anche della loro gestione. “L’Italia ha il 70% – 80% del patrimonio culturale mondiale e l’hanno fatto gestire come un Mc Donald’s” tuona l’on. Luisa Bossa, ex sindaco di Ercolano, dalla pagine di Libèration. Recente l’inchiesta sulla gestione commissariale di Marcello Fiori che, come ricorda la giornalista Èliane Patriarca, è sotto inchiesta per diverse ipotesi di reato. La più grave sarebbe lo sfregio del Teatro Grande: una colata di cemento sugli antichi gradoni di basalto, ferita non solo per gli occhi ma anche per il portafoglio. Secondo gli inquirenti, infatti, sarebbe costato ben quattrocento volte in più dell’importo iniziale. Il grido d’allarme su Pompei è lanciato da un profondo conoscitore nonché appassionato sin dall’adolescenza degli scavi, l’architetto Antonio Irlando, presidente dell’Osservatorio sul Patrimonio Culturale: “I 79milioni di euro assegnati al commissario speciale hanno alimentato la mafia del cemento a danno della conservazione del sito. Non c’è un minuto da perdere perché, ogni anno, almeno 150 metri quadri di affreschi e stucchi sono perduti perché manca la manutenzione”. Anche per questo il presidente dell’Osservatorio rimane scettico sugli interventi straordinari e propone la sua soluzione: “Quarant’anni fa c’erano 120 artigiani altamente qualificati che lavoravano a Pompei con grande attaccamento e si occupavano delle rovine come padri di famiglia”. Del resto, aggiunge Libèration, per completare un quadro desolante, a Pompei ci sono solo 25 vigilanti al giorno, quindi non deve meravigliare la frequenza dei furti. Date le terribili premesse, il quotidiano francese non può che concludere con le parole del grande scrittore Erri De Luca che, all’indomani del crollo della Scuola dei Gladiatori, consigliò di ricoprire Pompei, “l’unico modo per preservarla per le generazioni future perché l’Italia di oggi non è in grado di trasmettere la bellezza ereditata”. Questa, dunque, l’Italia vista dalla Francia alla vigilia del voto, una Francia che probabilmente non ha del tutto accantonato le sue mire sulle rovine più belle del mondo, o quel che ne resta. Vedremo se il nuovo esecutivo saprà rimettere la cultura al centro del programma di governo, o se anche questa è l’ennesima promessa elettorale. Il tempo però non aspetta e se abbiamo perso la possibilità di creare il bello sarebbe davvero imperdonabile perdere, ancora una volta, l’occasione di conservarlo. Perché, come sostiene Irlando, non c’è tempo da perdere. O il nuovo governo saprà raccogliere la sfida della cultura o i crolli di Pompei sono stati l’inizio di un destino che aspetta l’intero paese.
Claudia Malafronte