“Di rimpetto alla foce del fiume Acheloo nel mar Jonio fra l’Acarnania e l’Etolia sono le Echinadi”. Continua Ovidio, nell’ottavo libro delle Metamorfosi, raccontando che “cinque Najadi avendo celebrato una festa campestre senza avervi invitato il fiume Acheloo, questi adirato contro di loro inondò così furiosamente quei campi che trasportate le ninfe nel mare, Nettuno per compassione le trasformò in isolette. Non ad altro che ai poeti debbono la loro celebrità”.
A largo di Itaca, il piccolo arcipelago delle isole Echinadi oggi vive una celebrità alquanto diversa.
Duemila anni sono passati dai versi del poeta romano. Nell’opera che può essere considerata uno dei più imponenti ed importanti componimenti epici della letteratura latina, la cultura pagana dell’autore è evidente in ogni passo. Siamo nella Roma dei Cesari, nella Roma della mitologia. Lo splendore dell’arcipelago è perfettamente immortalato dall’occhio panteista di Ovidio. Di fatti, “non ad altro che ai poeti debbono la loro celebrità”.
“La Repubblica”, il 5 marzo 2013: “Shopping greco per l’emiro del Qatar: compra sei isole ioniche per 8 milioni”. Un minuto di silenzio. Si tratta delle Echinadi.
Digerire una notizia del genere è sempre difficile per chi si sofferma anche solo un attimo a pensare. Il quadretto di Ovidio ora, e già da un po’, è privato. Tutta la compassione del dio Nettuno solo per una persona. La cosa è desolante.
Anche assistere dalla prima fila alla tragedia finanziaria della Grecia è davvero demoralizzante. E, inoltre, lo stesso stare in prima fila non è per niente rasserenante. Dalle spiagge di Isola di Caporizzuto l’arcipelago dista meno di 300 chilometri. Se il mondo fosse stato piatto, come ancora qualcuno ai tempi di Ovidio credeva, quasi potremmo assistere al collasso ellenico seduti su una sdraio a prendere il sole.
Sarebbe servita spensieratezza. Al contrario, i “saldi” sul patrimonio pubblico italiano augurati dall’ex premier Mario Monti, congiunti alla sempre maggiore frequenza con cui si manifestano questi avvenimenti, ha fatto sì che la situazione cominciasse ad essere preoccupante. Rovistando tra gli archivi, agghiacciante.
Solo un anno fa, “Noi” (le virgolette sono d’obbligo dato che io come voi non ho visto una Lira, anzi…) abbiamo venduto la Costa Smeralda per 600 milioni alla Qatar Holding, ovvero allo stesso uomo. Per capirci, è sempre lui, quello del Pocho (che quanto ci manca solo Cosimo Silva lo sa!).
E quindi perché scandalizzarsi!? Sono solo 8 milioni quelli sborsati per le Echinadi. Pensate a Berlusconi, che ne ha pagati 23 per Super(?) Mario Balotelli! Manco fosse quello 0,37% che gli serviva per mettere i bastoni fra le ruota al PB (Povero Bersani) in Parlamento.
Comunque sia, “Povera Italia!” a parte, vi faccio una domanda: perché passando per Pompei il 7 ottobre di ogni anno mi incastro in una folla inconsueta? Addirittura un amico mi disse che una volta c’era anche il Papa a festeggiare! Giovanni Paolo, sant’uomo, ma a festeggiare cosa?
E vi rispondo pure: la festa celebra la vittoria riportata nel 1571 a Lepanto dalla Lega Santa contro i Turchi. E’ cosa nota come nel secolo XVI la potenza musulmana dell’Impero Ottomano sul fronte balcanico minacciasse l’intera cristianità. Allora, il 20 maggio 1571 venne firmata la Lega Santa contro i Turchi, alla quale aderirono il Regno di Spagna, la Repubblica di Venezia, lo Stato Pontificio, le Repubbliche di Genova e di Lucca, i Cavalieri di Malta, il duca di Savoia, e i vari signori dell’Emilia.
Mehmet Alì Pascià, a capo delle forze musulmane, era a bordo della Sultana. Sventolava alto sulla sua flotta il vessillo verde dell’Islam su cui era stato scritto 28mila volte a caratteri d’oro il nome di Allah. Don Giovanni d’Austria, comandante della flotta cristiana, saputo che la flotta turca era nel golfo di Lepanto, l’attaccò il 7 ottobre del 1571 presso le isole Echinadi.
Nell’intero mondo cristiano le confraternite del Rosario pregavano intanto con fiducia.
Nello scontro i soldati di Don Giovanni d’Austria implorarono il soccorso del cielo e poi cominciarono la lotta. Sebbene in minoranza numerica, dopo 4 ore di valorosa battaglia, dei 300 vascelli nemici solo 40 riuscirono a scappare mentre gli altri erano tutti colati a picco. Circa 40mila turchi erano morti. L’Europa era salva.
Quando San Pio V ebbe avuto la visione della vittoria, si inginocchiò per ringraziare il cielo e ordinò per il 7 ottobre di ogni anno una festa in onore della Vergine delle Vittorie, (inizialmente detta di S. Maria della Vittoria), titolo cambiato poi da Gregorio XIII in quello di Madonna del Rosario.
Spero qui le mie parole non vengano fraintese. La nostalgia del mondo classico, unita a questo ferreo ripasso sui valori cristiani, non erano di certo concepite nell’ottica di organizzare una nuova crociata contro il potente emiro arabo, orientale; di organizzare una risposta alla “riconquista” musulmana delle Echinadi.
Questa è una presa di coscienza, un risveglio identitario. E’ il veder realizzati i processi di una metamorfosi societaria profonda, dalla quale solo chiara si evince l’imponente figura dell’ultimo avversario contro il quale prima o poi ci troveremo a fare i conti.
“La Repubblica”, sempre il 5 marzo 2013, da notizia della morte di Hugo Chàvez. Presidente del Venezuela dal 1999, quest’uomo aveva fatto della sua politica, e a giudicar dal vivo amore che gli sta dimostrando la sua popolazione in questo momento di dolore, della sua vita lotta a questo nemico, che prende svariati nomi quali “capitalismo”, “economia”, “banca”, “finanza”, “crisi”, “debito”.
La storia spesso gioca scherzi inaspettati, ma bisogna capire che le isole Echinadi sono più vicine di quanto abbiamo potuto pensare.
L’unica speranza è quella di almeno accorgersene quando il prossimo magnate verrà a bussare alla porta e chiederà: “Quanto costa Capri?”.
Felice Libano