Un caso, questo, che riporta l’attenzione sulla questione più generale della sicurezza degli ambienti di lavoro a Porta Marina. “Quei prefabbricati dovevano essere abbandonati già da molto tempo – scrivono i sindacati- perché obsoleti, inadeguati e pericolosi per la salute. Si riscontrano, oltre alla presenza di amianto, anche tante altre anomalie quali: controsoffittature crepate, impianti elettrici non a norma, infiltrazioni di acqua in caso di pioggia – piove in molte stanze – e oggi anche liquami che fuoriescono dai bagni”. Di trasferire il personale dai container dell’83 in cemento – amianto alle case demaniali ancora non si parla nonostante le promesse. Pepe e Rosa Rosa ricordano la riunione “fatta più di un anno fa con il Segretario Generale del MIBAC, Antonia Pasqua Recchia, dove si stabilì che nel mese di novembre 2012 sarebbero iniziati i lavori di ristrutturazione degli edifici demaniali per adeguarli ad uffici”. Parole al vento anche stavolta, dicono i sindacati: i lavori a Casina Pacifico e co., già in gran parte ristrutturati, non sono mai partiti mentre “la Soprintendenza spende soldi per fare di tanto in tanto qualche lavoretto di adeguamento dei prefabbricati alle norme di sicurezza impostogli dall’ASL. Eppure – concludono Pepe e Rosa Rosa – garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro dovrebbe essere una priorità per l’Amministrazione, a Pompei invece restano solo chiacchiere”.
Non si placa, dunque, l’accanimento divino, o umano, nei confronti della città sepolta. A pensarci viene in mente il la canzone di Silvestri: “Più in basso di così non si poteva andare”. Si spera di poter scrivere, per il futuro, sugli scavi anche il titolo della canzone: “Salirò”. Più che una speranza, un augurio.
Claudia Malafronte