Gli Scavi di Pompei non saranno iscritti nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità “in danger” (in pericolo) solo perché è in via di compilazione il Management Plan (piano di gestione). Questo è quanto emerge dalla relazione presentata dai membri UNESCO alla 37esima sessione di lavoro del World Heritage Commitee, in corso in Cambogia.
Nelle precedenti relazioni sulle aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Oplonti, erano emerse alcune criticità, quasi tutte concentrate nel sito più famoso al mondo. Si andava da cedimenti strutturali, a progetti edilizi in prossimità delle aree archeologiche, passando per il sistema di gestione, nonché per restauro e manutenzione giudicati “inadeguati”, mancanza di personale, sistema di drenaggio inesistente e pressioni dei visitatori.
Negli ultimi tre anni, la situazione è cambiata poco, anche se è in corso il Grande Progetto Pompei, finanziato dall’Unione Europea con 105 milioni da spendere entro fine 2015, in maniera adeguata, con azioni mirate, senza sprechi ed evitando infiltrazioni malavitose. Il Progetto è ancora all’inizio, ma gli emissari dell’UNESCO – che hanno visitato Pompei dal 7 al 10 gennaio scorsi – sono stati rassicurati dalle Autorità italiane.
Ciò che preoccupa maggiormente sono sempre due tematiche: la gestione, e la questione del restauro e della manutenzione. Tutto si intreccia. Senza gestione ordinaria non si riescono ad avere restauri mirati e manutenzione, dunque si incappa nei tragici crolli che cancellano, di fatto, il patrimonio.
Il piano di gestione, secondo i dettami dell’UNESCO, dovrà prevedere anche azioni mirate sul contesto che ospita le tre aree archeologiche. Utilizzando il piano paesaggistico esistente per i Comuni dell’area vesuviana, bisogna creare delle zone “cuscinetto” per salvaguardare i siti archeologici, ma anche il contesto urbano di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata. Insomma, non solo gli scavi, ma anche le città devono essere preservate, adeguandole alla qualità dell’offerta culturale e del patrimonio archeologico.
L’UNESCO, poi, riconosce lo sforzo profuso dal Governo italiano e dall’Unione Europea per quanto riguarda il Grande Progetto Pompei e i primi cantieri messi in opera, ma “sarebbe auspicabile un monitoraggio esterno sulla qualità degli interventi” con particolare attenzione al rispetto dei tempi. In questo contesto, vengono evidenziati “imminenti rischi di crolli, poche azioni presenti per preservare il patrimonio archeologico e la chiusura al pubblico di troppe aree”. Su quest’ultimo punto, il problema riscontrato è la carenza di personale: non solo custodi, ma anche “tecnici addetti alle ordinarie attività di gestione, supervisione e manutenzione”.
La priorità, dunque, non deve essere il “grande progetto”, bensì la “sostenibilità della futura gestione dell’area archeologica”. Il tutto sarà possibile solo grazie al Piano di Gestione, da ultimare – secondo le stime della Soprintendenza – entro dicembre 2013, anche se al momento, dopo 3 mesi di lavoro (da marzo) siamo solo alle pagine di “introduzione”.
In conclusione, per gli inviati dell’UNESCO, i prossimi due anni saranno cruciali per dimostrare effettivi “interventi contro il rischio di deterioramento” evidenziato nell’area archeologica di Pompei, in particolare dai crolli dal 2010 ad oggi. Se entro il 2015 non saranno presi provvedimenti – inquadrati (e non) nel Grande Progetto – Pompei, Ercolano e Oplonti saranno messi nella lista dei patrimoni in pericolo.