Scavi di Pompei come il Colosseo: venerdì rischio chiusura

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Gli Scavi di Pompei  come il Colosseo. La loro  chiusura fa il giro del mondo, come se  un pezzo d’Italia sparisse per un giorno dalla carta geografica, perchè per il mondo quella civiltà sommersa costituisce l’unica Italia realmente esistente. Così, dopo la serrata dell’anfiteatro Flavio lo scorso 23 giugno, il 28 giugno  tocca a Pompei chiudere i cancelli dalle 8.30 alle 11.00, per ospitare nell’ Auditorium l’assemblea delle aree archeologiche campane. L’onda lunga delle manifestazioni sindacali lambisce  la città sepolta dopo aver toccato, lo scorso 24 giugno, archivi, musei e biblioteche. Sotto accusa per i sindacati (CGIL, CISL, UIL, UNSA e UGL) la politica dei tagli lineari al MIBAC e le conseguenti sciagure. In particolare i rappresentanti dei lavoratori lamentano la drammatica carenza  di organico e la mancata corresponsione, da oltre sette mesi, delle indennità di turno e del salario accessorio. La mobilitazione nazionale continua nonostante le aperture dei vertici del ministero. In seguito allo stato di agitazione, infatti, il ministro Massimo Bray ha convocato i sindacati per il prossimo 8 luglio e lo sblocco dei fondi per i pagamenti ha incassato il parere favorevole degli organi competenti.  Ancora a rischio, invece, l’apertura dei siti nei giorni festivi a causa del superamento di un terzo dei festivi annui. Distinguo importante, sottolineano le organizzazioni sindacali, tra i due giorni di iniziativa confederale (24 – 28 giugno) e il caso Colosseo. Quest’ultimo, sostengono le OO. SS.,  “dimostra da un lato una evidente disinformazione di una parte dei media e dall’altra l’irresponsabilità di una sigla sindacale, la Filp, che profitta dell’attenzione mediatica per proporre iniziative che nulla hanno a che vedere con i temi della mobilitazione nazionale. L’obiettivo, almeno nelle intenzioni del sindacato, non è creare un disservizio a utenti e turisti. Anzi. La nostra è una mobilitazione aperta attenta ai contributi delle persone e dei cittadini. I lavoratori del Mibac vogliono poter offrire un servizio migliore all’utenza. Gli utenti, i turisti e i mass media devono essere nostri alleati nella vertenza, non nemici”. “Al centro della piattaforma rivendicativa – concludono le cinque sigle – non ci sono solo i diritti dei 20mila lavoratori, che pure stanno soffrendo la drammatica carenza degli organici e i ritardi nei pagamenti delle indennità di turno, ma soprattutto la riorganizzazione dell’intero settore. A partire dalle risorse per la tutela e la manutenzione di siti e strutture e dalla re-internalizzazione di servizi oggi oggetto di appalti selvaggi, sprechi enormi e sfruttamento delle professionalità”. Un settore che dovrebbe essere, ricordiamolo, volano dell’economia e  riesce a fare notizia solo per crolli, chiusure e sprechi, salvo sporadiche fortune d’esportazione. Un nuovo de profundis, quindi, per la cultura italiana che questo fermento estivo cerca di scongiurare e che non vorremmo mai più sentire.

Claudia Malafronte

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