Se i beni culturali sono un campo di battaglia, Pompei è la Waterloo d’Italia. Cinquanta domus chiuse su settantatre, affreschi degradati e infiltrazioni d’acqua che minacciano nuovi crolli. L’allarme choc proviene dai sindacati (CGIL, CISL, UIL, UNSA, UGL) riuniti stamane nell’Auditorium di Pompei per scuotere l’opinione pubblica di fronte allo stato d’abbandono del nostro patrimonio artistico. Cancelli chiusi fino alle 11.00 e turisti in fila dalle 8.30. All’apertura ben cinquemila entreranno in un’ora sola. Un disagio di cui, scrivono i sindacati, “ci scusiamo, ma è importante comprendere i motivi alla base della protesta”.
E i motivi di questa manifestazione nazionale, con Pompei sede dell’assemblea delle aree archeologiche campane, certo non mancano. Sotto accusa, per i sindacati, l’organizzazione del lavoro con “il blocco del turn over, che ha ridotto ai minimi termini il già esiguo organico” oltre “all’ulteriore accorpamento delle Soprintendenze con il conseguente fallimento gestionale già registrato nel caso della macro Soprintendenza di Napoli e Pompei”. Nefasta, per le OO. SS., anche una serie di sbarramenti e dilazioni: dal “blocco di accordi nazionali che avrebbero reso possibile l’ampliamento dell’offerta di servizi ai cittadini” ai “ritardi di circa nove mesi del pagamento del salario accessorio”; dalla “sospensione dei processi di riqualificazione del personale” all’ “ulteriore proroga del rinnovo del contratto di lavoro fermo al 2009”. Senza contare, scrivono ancora i sindacati, “le lentezze burocratiche nell’assegnazione delle gare d’appalto alle ditte aggiudicatrici dei servizi aggiuntivi, delle quali risente il visitatore per mancanza di bookshop, guardaroba e punti di ristoro” e i “ritardi nell’impiego dei fondi previsti per il recupero e la valorizzazione del complesso monumentale di Palazzo Reale”.
Le ragioni della protesta, quindi, vanno oltre la città sepolta, ma Pompei è un problema nel problema MIBAC. CGIL, CISL e UIL, infatti, “ritengono che gli interventi del Grande Progetto Pompei, in assenza di un piano strategico strutturale in grado di offrire risposte urgenti ai problemi della conservazione, della tutela e della valorizzazione, rischiano di non sortire alcuno degli effetti sperati”. “Non ci confortano le dichiarazioni di buona volontà del neo ministro Bray (Mi aspetto di avere le risorse per le priorità. Innanzitutto la questione del personale, ridotto allo stremo) – proseguono i sindacati – Noi, nel silenzio generale, lo stiamo dicendo da anni! L’emergenza Pompei, al pari di quella della stragrande maggioranza dei siti museali italiani, non può più attendere. Occorre passare dalle parole ai fatti. E’ perentorio un intervento immediato del governo e del parlamento per affrontare in maniera strutturale e definitiva la condizione drammatica di questo come di altri siti museali”.
Organizzazione del lavoro, certezza del salario e piano strategico per i beni culturali, che devono tornare centrali nell’agenda del governo. Queste, dunque, le basi della piattaforma che i sindacati presenteranno l’8 luglio al ministro della cultura Massimo Bray. La percezione, però, è che se un tempo Pompei è stata seppellita per essere riscoperta, oggi Pompei deve chiudere per non morire.
Claudia Malafronte