Il “grande progetto della Riqualificazione e recupero del fiume Sarno” rischia di creare un dissidio fra il comune di Striano e la Regione Campania.
Nato per completare la riqualificazione idraulica ed ambientale del basso corso del fiume e non solo, poiché molteplici erano le operazioni finalizzate al recupero e alla bonifica dell’ambiente fluviale, finisce per essere ritenuto un intervento inutile e potenzialmente dannoso dal Consiglio Comunale di Striano.
Maggioranza e opposizione, indignati concordano sul fatto che tale iniziativa risulti in netto contrasto con il concetto di “fruibilità del fiume Sarno” come risorsa di sviluppo sociale ed economico del territorio.
L’intento, di realizzare vasche di laminazione per allentare il problema dell’esondazione nei comuni che vanno da Scafati ala foce del fiume, non farebbe altro che ridurre i piccoli centri limitrofi a “zone di servizio”, o anche “paludi”. Nulla a che vedere quindi, con le numerose opportunità di sviluppo che una vera riqualificazione lascia soltanto (in questo caso) intravedere.
Addio alle tanto agognate aree verdi, al percorso pedonale e ciclabile, e dulcis in fundo al museo del fiume.
E così, il lavoro di bonifica sull’ex corso d’acqua più inquinato d’Europa, stimato per ben 200 milioni di euro (di cui si sta occupando l’ARCADIS), anziché risollevare le sorti di comuni che da anni vengono colpiti dagli allagamenti e dall’inquinamento del fiume stesso, si trasforma in un “approccio culturale scellerato e non condivisibile”.
Ma il sindaco Antonio Del Giudice non ci sta, e per questo ha scritto alla Regione e chiesto a tutte le forze del consiglio comunale di presentare osservazioni in merito. “Striano è estraneo alle esondazioni del Sarno, non comprendo per quale motivo dovremmo farci carico di un flagello, che per fortuna, non ci riguarda. Non lasceremo che il nostro territorio venga ulteriormente devastato.”
Preoccupati, a San Valentino Torio e Poggiomarino, anche i membri del gruppo archeologico Terramare 3000, secondo i quali gli interventi sopracitati metterebbero seriamente a rischio il sito preistorico della Longola.
Francesca Coppola