Il 9 luglio scorso, nel vicino quartiere di Bir el-Abed, un’altra esplosione aveva provocato una cinquantina di feriti, mentre il 26 maggio due razzi avevano colpito la periferia sud di Beirut ferendo quattro persone.
Il terzo attentato nel giro di pochi mesi segna un’escalation nel coinvolgimento del Paese dei Cedri nel conflitto che insanguina la vicina Siria, dove un’ampia fetta dalla popolazione si oppone al regime alawita di Bashar al-Asad.
L’attentato è stato rivendicato dalle brigate di Aisha, gruppo armato sunnita fino ad ora sconosciuto legato al fronte dei ribelli in Siria.
In un video apparso online mezz’ora dopo l’esplosione, dei miliziani con il volto coperto dichiarano di aver colpito Hezbollah per il sostegno del partito libanese al regime siriano, e accusano il leader sciita Nasrallah di collaborare con Isreale e Stati Uniti.
L’Esercito libero siriano (Esl), alla guida dell’insurrezione in Siria, si è invece distanziato dall’attacco. Anche il Consiglio di cooperazione del Golfo per mezzo del Segretario generale al-Zayani ha condannato l’attentato, definito come un atto scellerato volto ad attaccare la sicurezza e la stabilità del Libano.
Il Paese dei Cedri è ormai profondamente diviso tra i sostenitori della rivoluzione siriana, capeggiata dal sunnita Movimento del Futuro di Saad Hariri (figlio del ex primo ministro Rafiq Hariri, ucciso nel 2005 da un attentato ritenuto opera proprio dei servizi segreti siriani), e Hezbollah, l’armato partito politico sciita che continua a sostenere il presidente siriano in quella che definisce una guerra contro i terroristi.
Uno scenario di divisioni politiche e confessionali che rischia di esacerbare le tensioni tra sciiti e sunniti anche in Libano, che da anni combatte per ritrovare pace e convivenza interconfessionale.
Mentre gli abitanti della martoriata Beirut sud (la stessa devastata da Israele nell’ultimo conflitto in Libano) contano i danni dell’esplosione e fanno i conti con le immagini dei corpi dilaniati, la politica inizia il giro di dichiarazioni e supposizioni.
Se il ministro dell’interno Marwan Charbel, rimane cauto, Hezbollah e il presidente Suleiman puntano invece il dito contro Israele, colpevole a loro avviso di voler destabilizzare il Paese.
Durante un discorso pronunciato il 16 agosto in occasione del settimo anniversario della fine della guerra del 2006, Nasrallah ha incolpato dell’attentato i gruppi takfir (cellule salafite armate legate ad al-Qaeda). Gruppi sunniti estremisti che secondo il leader sciita sarebbero al soldo di Israele.
Per il partito sciita infatti, Tel Aviv vuole sfruttare la confusione generata dalle tensioni settarie animate dalla crisi siriana per colpire Hezbollah e vendicarsi della sconfitta del 2006.
Nel suo discorso Nasrallah ha inoltre reiterato il suo sostengo al governo siriano e alla lotta contro il terrorismo dichiarandosi pronto ad andare a combattere in prima persona in Siria. Parole subito criticare da Hariri che ha accusato Hezbollah di voler trascinare il Libano nel marasma del conflitto siriano.
Specchio del conflitto tra Hezbollah e al-Qaeda nella regione o, come dichiara lo stesso Hezbollah, espressione di una guerra più ampia e mai finita, con Israele? Dubbi sui reali mandanti dell’attentato che ha ucciso solo civili innocenti restano. Tra questi anche quelli su come il quartiere ultra controllato di Hezbollah (da luglio sotto eccezionali misure di sicurezza proprio per rischi di attentato) si sia fatto sfuggire un carico di esplosivo di 80 kg.