Il mondo ha raggiunto il numero di 232 milioni migranti nel 2013, un record, secondo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato mercoledì scorso. Nel 2013, il dipartimento di economia e affari sociali dell’Onu ha identificato 232 milioni migranti pari al 3.2 % della popolazione mondiale, passando da 175 milioni nel 2000 a 154 milioni nel 1990. Del totale, 136 milioni, si sono stabiliti in paesi sviluppati e 96 milioni nei paesi in via di sviluppo. I rifugiati, come tali, rappresentano solo il 7% del totale, ossia 15,7 milioni di persone. La maggior parte degli immigrati (74%) sono età in lavorativa (dai 20 ai 64 anni) e il 48% sono donne. Europa e Asia sono le due principali regioni di migrazione con rispettivamente 72 e 71 milioni di immigrati. Gli Stati Uniti sono la destinazione preferita, accogliendo quasi 46 milioni persone, tra cui 13 milioni nati in Messico, 2,2 milioni venuti dalla Cina, ed a seguito India e Filippine. Queste cifre riflettono la tradizionale migrazione dai paesi in via di sviluppo ai paesi sviluppati, ma i flussi sud-sud, tuttavia, sono cresciuti notevolmente raggiungendo quasi il pareggio con quelli tradizionali. Nel 2013, 82,3 milioni immigrati nati in paesi del sud si erano stabiliti in altri paesi del sud, mentre 81,9 milioni nati sud sono emigrati verso il nord. Oltre il 51% dei migranti vivono in soli 10 paesi: Stati Uniti (45,8 milioni) Russia (11), Germania (9,8), Arabia Saudita (9.1), Emirati Arabi (7,8) e Regno Unito (7,8). Seguono la Francia con 7,4 milioni, Canada (7.3), Australia (6.5) e Spagna (6.5).
I gruppi più consistenti sono asiatici (70,8 milioni) e latino- americani (53,1 milioni) che costituiscono le due diaspore più importanti: 19 milioni di asiatici vivono in Europa, 16 nel Nord America e 3 in Oceania, mentre la maggior parte dei latino-americani (26 milioni) vive nel Nord America. L’Asia è una regione che ha visto l’immigrazione più alta dal 2000, accogliendo altri 20 milioni di persone in 13 anni, in particolare a causa della domanda di lavoro nei paesi in rapido sviluppo economico come Malesia, Singapore e il Tailandia. Tra il 1990 e il 2013, gli Stati Uniti hanno accolto quasi 23 milioni immigrati aggiuntivi pari a circa 1 milione all’anno, gli Emirati Arabi 7 milioni e la Spagna 6 milioni. Questi numeri, rileva Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, dimostrano che l’Italia non é più un Paese d’immigrazione, semmai solo di transito, e gli allarmi frequentemente lanciati anche da forze politiche che agitano lo spauracchio del fenomeno come uno dei mali più importanti del Paese, appaiono oltremodo infondati. Semmai le cifre in questione dimostrano che l’Italia non é più uno stato che attrae, perché in preda ad una crisi economica nota ormai a livello mondiale, che ci sta costringendo a diventare, o meglio tornare, da Paese d’immigrazione a nazione d’emigranti.