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Una cena nell’Anfiteatro degli scavi di Pompei: e la chiamano valorizzazione

YOUREPORTER cena agli scavi di pompei anfiteatro

Che i beni culturali italiani siano in pericolo è fuori di dubbio, così come è ovvio che sia necessario per le soprintendenze inventarsi di tutto pur di reperire fondi o sponsorizzazioni in modo da destinare più denaro alla valorizzazione e alla salvaguardia del patrimonio.

Il problema, però, è che la parola “valorizzazione” troppo spesso viene fraintesa con il significato “dare valore”, e questo può anche apparire fuori luogo quando si va a discutere il “prezzo” di un qualcosa che ha migliaia di anni e che deve essere “fruito” per alcune ore solo per un banchetto. In questa maniera, però, nessuno si stupisce più se riceve un invito per una cena nell’Anfiteatro degli scavi di Pompei.

Sì, proprio così: cena all’aperto, al centro dell’arena, circondati dalle gradinate di epoca romana, nel cuore dell’antica Pompei. Proprio lì, dove le scale esterne e parte della struttura non sono agibili, un luogo affascinante e fragile allo stesso tempo, è stata organizzata una cena nell’ambito del decimo Congresso Gruppo Agenti Fondiaria Sai, così come documentato dalle foto pubblicate da YouReporter.

Inutile scandalizzarsi, poiché questa è una pratica molto comune per il Mibac, succede anche agli Uffizi di Firenze e in tanti musei, palazzi storici o aree archeologiche su tutto il territorio nazionale. Che sia uno spettacolo, un concerto, una visita privatissima di uno sceicco o un banchetto, grazie alla legge Ronchey si fitta qualsiasi luogo di cultura in Italia, ma ad un prezzo “giusto” che potrebbe rientrare già in un listino: nel caso in cui non fosse così, la legge prevede che il privato possa concordare il dovuto direttamente con la Soprintendenza competente che, a fine “rapporto”, consegna i soldi al Ministero, il quale ne restituisce metà da utilizzare per la tutela e la salvaguardia del bene “fruito”. Poi, che questi soldi vengano effettivamente destinati alla vera “valorizzazione” del patrimonio (in questo caso dell’anfiteatro pompeiano) dovrebbe essere una cosa giusta almeno quanto il prezzo stabilito.

Altro che Unesco, Regione, Unione Europea, Soprintendenza dedicata, super manager e Grande Progetto Pompei: ciò dimostra che il possibile futuro restauro di una domus degli scavi potrebbe dipendere addirittura da una cena privata.

Intanto, l’Osservatorio Patrimonio Culturale – presieduto dall’architetto Antonio Irlando – ha inviato una lettera al ministro Massimo Bray, nella quale chiede se quello di fittare l’area archeologica per eventi poco culturali sia “il modo giusto per valorizzare gli scavi e fare incassare qualche migliaio di euro alla soprintendenza o piuttosto il modo peggiore per svendere e ridicolizzare un bene pubblico tutelato dallo Stato e riconosciuto dall’Unesco quale patrimonio dell’umanità”.

“La Dichiarazione di Segesta, adottata dal Consiglio d’Europa nel 1995 – spiega l’architetto Antonio Irlando – ha fissato le linee guida per la salvaguardia e l’utilizzo di antichi luoghi di spettacolo del Mediterraneo, dove non sembrano contemplate cene private nel bel mezzo dell’arena. Altro che valorizzazione del monumento qui si sta amplificando a dismisura l’incapacità di tutelare e valorizzare culturalmente un patrimonio pubblico a favore di privilegi privati che sono appannaggio di chi per una serata, pur di sentirsi il padrone dell’anfiteatro, è disposto a spendere decine di migliaia di euro”.

In pratica, sembra che il messaggio che passi dal Ministero e dalla Soprintendenza sia molto semplice ed esplicito: basta pagare, poi agli scavi di Pompei si può davvero fare di tutto. E la chiamano valorizzazione…

Dario Sautto

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