Parte 2 – Le guerre balcaniche rivissute nella rivalità tra il turbo-folk ed il rock
Gli anni dal 1991 al 1995 hanno visto scorrere fiumi di sangue in Europa, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, a causa dell’esplosione delle guerre balcaniche, un cruento conflitto tra etnie che mise l’uno contro l’altro popoli che fino a quel momento avevano dato vita alla Repubblica Federale Jugoslava. Tra le cause di questo massacro vi è il sorgere dei nazionalismi più o meno in tutti gli stati della federazione, in primis quello serbo, a cui a capo vi era Slobodan Milosevic, il cui nazionalismo si spingeva al punto di voler allargare i confini della Serbia, annettendo tutti quei territori con presenza di gruppi di discendenza serba.
E’ in una Serbia insanguinata, aggressiva, inginocchiata dalla crisi economica, che nasce e si sviluppa il turbo-folk. Il genere, il più popolare in Serbia ancora oggi, è una trasformazione del folk-urbano degli anni ’80, che univa le melodie pop occidentali alla musica tradizionale e che vide in Rambo Amadeus uno degli autori più celebri. Lo stesso Amadeus all’inizio degli anni novanta definirà come turbo-folk “quello sviluppo del folk-urbano, che lega il pop e il folk alla dance”. Nell’atmosfera cupa di quegli anni diversi artisti cominciarono a produrre canzoni di questo tipo. Melodie orecchiabili, strutture poco complicate e ritmi ballabili, invitavano le persone ad evadere dalla guerra e dalla fame, a distrarsi e divertirsi.
Ben presto, il turbo-folk divenne molto popolare tra le fasce più disagiate della popolazione, soprattutto grazie al carattere nazionalista dei messaggi contenuti nei testi. Oltre a essere fortemente influenzati da temi sessuali, anche molto spinti, i testi erano infatti intrisi di idee nazionaliste, che incitavano il popolo a restare unito nella battaglia contro i nemici. Il governo di Milosevic, e quello dei suoi successori, arrivarono a finanziare le case discografiche, le trasmissioni televisive e radiofoniche affinché proponessero e diffondessero questo genere, che stimolava nel popolo sentimenti in linea con gli interessi governativi. Il turbo-folk divenne così una vera e propria cultura, un modo di pensare. Tema chiave dei testi, a partire dagli anni successivi al conflitto fino a oggi, è divenuto l’invito al consumismo, al lusso, alla vita sfrenata; ciò probabilmente è stato causato dalla integrazione dell’economia serba all’interno della rete globale, egemonizzata dagli anglofoni, che ha introdotto il liberismo e una importazione del modello di stile di vita occidentale, con le sue aspirazioni sociali, all’interno della Serbia.
Per chi fosse interessato a buttare un orecchio sul turbo-folk, Ceca, Lepa Brena e Indira Radic sono tra gli artisti più affermati del genere oggi in Serbia.
Dall’altra parte, ovvero chi critica la qualità artistica del turbo-folk e i messaggi politici di cui è veicolo, vi sono sicuramente tutti quei giovani, quegli artisti che sono vicini alla cultura musicale del rock ed alle sue derivazioni. Il genere rock non è sicuramente un fenomeno propriamente nuovo all’interno della cultura serba. Di fatti, sin dagli anni settanta, molti artisti furono influenzati da questo stile musicale, sempre vicino, tra l’altro, agli ambienti dei giovani critici e contestatori del governo socialista delle Repubblica Federale. E’ certamente dalla metà degli anni novanta in poi, però, che il rock serbo ha visto aumentare il suo seguito ed è cominciato a sorgere l’ interesse nei confronti dei suoi artisti anche al di fuori dei confini nazionali. Sicuramente, l’apertura all’occidente, avvenuta dopo la fine del conflitto, ha influenzato fortemente il diffondersi a livello mainstream di un genere fino ad allora sempre rimasto di nicchia. Sempre più giovani serbi quindi si sono avvicinati al rock, che divenne anche veicolo, a sua volta, di contestazioni vivaci, spesso violente, nei confronti del governo di Milosevic e della sua ideologia nazionalista; un vero e proprio movimento, di cui facevano parte anche artisti musicali, del cinema, del teatro, si venne a costituire durante gli anni novanta, e più volte migliaia di persone scesero in piazza, per denunciare la chiusura culturale imposta dal regime serbo, e per proporre modi alternativi di vedere e vivere il mondo; un movimento tanto forte, che, attraverso l’occupazione del parlamento, fu tra le ragioni della caduta di Milosevic nel 2000. Ancora oggi, i movimenti vicini alla cultura alternativa si impegnano in battaglie contro l’omofobia, lo sfruttamento dell’ambiente, il sempreverde nazionalismo, cercando di avvicinare la cultura serba a quella occidentale.
Dal punto di vista musicale, il rock di stampo occidentale, è stato più che altro solo importato in Serbia in tutte le sue ramificazioni (alternative rock, grunge, blues-rock, heavy metal), senza che si venissero a creare, almeno fino ad ora, sintesi significative con gli elementi della cultura musicale tradizionale. Da questo punto di vista, esperimenti interessanti provengono più dalla musica elettronica, con ad esempio la nascita del folk-step, un miscuglio di musica folk e la cosiddetta drum&bass. Molto spesso, i gruppi rock in Serbia hanno abbandonato anche l’uso della propria lingua, in favore della lingua inglese, scelta che può essere compresa anche come tentativo di esportare la propria band al di fuori dei confini nazionali. Questo è uno degli aspetti più criticati dai detrattori della cultura rock in Serbia, che accusano gli artisti di questo filone di essere partecipi di una colonizzazione culturale ad opera dell’occidente, la quale condurrebbe, con il tempo, alla decadenza dei valori e degli usi della cultura tradizionale.
Daniele Esposito