Sono passati tre anni dal crollo, e la Schola Armaturarum è ancora in rovina. L’inchiesta della magistratura non è conclusa mentre i crolli proseguono. A commentare la disastrosa situazione, l’architetto Antonio Irlando, Presidente dell’Osservatorio sul Patrimonio Culturale.
Qual è la condizione attuale della Schola Armaturarum?
“Le macerie sono state rimosse ma la ricostruzione non è iniziata. La zona è sotto sequestro giudiziario e attendiamo con interesse le conclusioni delle indagini. E’ essenziale conoscere le cause e le responsabilità del crollo per Pompei e il suo futuro, perché quello che è accaduto non si ripeta”.
La Schola Armaturarum è nel Progetto Pompei. In un’intervista la Soprintendente, Teresa Elena Cinquantaquattro, sostiene che sarà fruibile entro il 2015. E’ uno scenario possibile?
“E’ auspicabile ma lontano. Va considerato che la Schola Armaturarum, nel mondo, è il simbolo di Pompei in rovina. Suggerirei alla Soprintendenza una procedura prioritaria per il suo restauro. Dal Progetto Pompei non si evincono criteri oggettivi in base ai quali stabilire delle priorità di intervento. Perché si è iniziato dalla misconosciuta domus del Marinaio e non dalla Schola? L’impressione è che manchi una strategia, come se si fossero rispolverati vecchi progetti senza tener conto delle urgenze reali. La ricostruzione della Schola Armaturarum deve essere fatta subito e non nel 2015”.
Da esperto qual è il suo parere sulle cause del crollo?
“Sull’evento aleggiano dei dubbi che l’inchiesta dovrà chiarire. Pochi mesi prima sono stati eseguiti restauro e manutenzione delle coperture dell’edificio. Nelle foto su Google è visibile la tabella dei lavori affissa sulla Schola Armaturarum. Due gli interrogativi cui dare risposta nelle indagini: i lavori sono fatti bene? Durante gli stessi nessuno si è accorto di un altro dissesto in atto? Da un punto di vista tecnico se sbaglio i massetti di ponderazione l’acqua ristagna sui solai e può gravare su un manufatto antico, fragile”.
L’ultimatum Unesco sarà rispettato?
“Il punto non è quando ma cosa verrà fatto. Entro dicembre 2013 la SAP non dovrà produrre un documento ma cambiare mentalità. Essere patrimonio dell’umanità è una responsabilità che ci si assume verso l’umanità per la conservazione non solo del sito ma anche del territorio limitrofo. Il Piano di Gestione è uno strumento che consente la partecipazione della comunità alla tutela del patrimonio. Ciò significa che quel piano riguarda anche la parte esterna alla zona archeologica di Pompei, Ercolano e Oplonti, legate da un unico provvedimento all’UNESCO. Purtroppo possono sussistere interessi divergenti per cui le attività circostanti disattendono le esigenze di tutela. Non a caso negli ultimi dieci anni la redazione del piano è stata più volte iniziata e interrotta. Se c’è un ritardo questo è dovuto anche alle comunità locali che devono collaborare alla redazione dell’atto, perché produrlo vuol dire prendere un impegno. Nel nostro territorio c’è una refrattarietà alle regole, ma i vincoli dell’Unesco sono un’opportunità di sviluppo e conservazione delle città. Lo si comprende in tutto il mondo tranne da noi.
In ogni caso, il piano non deve essere una formalità ma un impegno solenne per salvaguardare i siti vesuviani dentro e fuori le mura”.
Claudia Malafronte