“La situazione sanitaria degli istituti penitenziari campani è allarmante. Il sovraffollamento, i disagi psicologici, la percezione di ostilità che i detenuti avvertono nei confronti del personale, le lunghe attese per le visite specialistiche per i malati, l’assenza di figure professionali con formazione specifica rendono le condizioni dei reclusi particolarmente grave – dice Flora Beneduce, componente della Commissione Sanità del Consiglio regionale -.
Nella struttura sanitaria del centro penitenziario di Secondigliano manca il personale medico e paramedico e le strumentazioni sono inadeguate o assenti. Non sono garantite le attività specialistiche per cui c’è più domanda, come l’ ortopedia, l’urologia, la diabetologia, la neurologia, la gastroenterologia e la chirurgia vascolare. Risultano del tutto insufficienti le ore assegnate ad altri specialisti. Assente anche la diagnostica per immagini. Gli esami di laboratorio, persino quelli di routine, non sono effettuati in sede e seguono una lunga trafila: una volta eseguito il prelievo ematico, lo stesso viene trasportato negli ospedali che insistono nella stessa Asl.
Condizioni simili persistono anche al centro clinico di Poggioreale. Eppure l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo stabilisce che ogni uomo debba avere un trattamento dignitoso: il diritto alla salute è inalienabile e preminente rispetto ad altre esigenze come, ad esempio, quella alla sicurezza. Ma, in queste carceri, le cure sembrano essere un’elargizione piuttosto che un diritto. La presenza dei medici, che subentrano a tempo determinato e cambiano ogni mese, è discontinua e non consente al detenuto di avere riferimenti stabili. La richiesta al Cup di una visita specialistica genera lunghissime liste d’attesa, prassi burocratiche complesse e trasferimenti che impegnano risorse umane e mezzi. Emergono, dunque, diverse esigenze: innanzitutto quella di disporre personale medico specializzato e perlomeno del laboratorio di analisi all’interno della casa circondariale.
È auspicabile, poi, l’istituzione di una graduatoria di medici di Medicina Generale, appositamente formati, da assumere a tempo indeterminato. Infine, bisogna predisporre day hospital oncologici per le chemioterapie in sede. Altra necessità, è quella di individuare una percentuale di posti di degenza in strutture convenzionate da riservare ai detenuti per la riabilitazione post infarto e post ictus”. Non termina qui l’analisi dell’onorevole Beneduce, che, nel passaggio delle attribuzioni di competenze della sanità penitenziaria dal ministero di Grazia e Giustizia alle Asl avvenuto nel 2008, ha ravvisato l’ingenerarsi di nuove emergenze ed inadempienze. “La Regione ha impegnato dei fondi per la sanità penitenziaria – spiega l’onorevole Beneduce -. Alla Asl Napoli 1, dove insistono i centri clinici di Poggioreale e Secondigliano, sono stati assegnati nel 2012 oltre 10 milioni di euro. Sarebbero stati sufficienti ad evitare l’avvicendamento per i pazienti detenuti , destabilizzante per i pazienti, dei medici; per acquistare alcune delle apparecchiature necessarie e per assicurare i livelli essenziali di assistenza.
Non so dove questi fondi siano finiti. Per ottenere risposte, forse dovrei rivolgermi all’Osservatorio permanente per la sanità penitenziaria, istituito nell’ottobre del 2010. Se solo funzionasse”. In questo cupo excursus sulle carceri partenopee, però, ci sono degli spiragli di luce e prospettive che aprono alla speranza. Nella casa circondariale di Pozzuoli, infatti, c’è una realtà diversa, dove sono attivi tutti gli ambulatori, grazie all’impiego di specialisti ambulatoriali, e dove c’è la Guardia medica h24. Inoltre, le detenute hanno la possibilità di studiare, di essere iniziate a diverse professioni, di acquisire competenze, di partecipare a laboratori e di recitare. “Il vero disagio è quello affettivo, per la lontananza dai figli – conclude l’onorevole -. Ma il personale medico e paramedico spesso riesce a offrire supporti che non sono solo professionali, ma anche e soprattutto psicologici. Ecco, dunque, l’importanza di essere pronti per gestire il rapporto con i reclusi, spesso malati nel corpo e feriti nell’animo”.