E’ una giornata di pioggia. Il grigiore paradossalmente lascia apprezzare meglio gli scempi perpetuati dalla mano dell’uomo. La prima immagine a lasciare sconcertati è quella dell’ingresso: un cancello in ferro battuto, chiazzato di ruggine in più punti, e un cartello in alto a sinistra che, come un’apostrofe dantesca, recita: Villa Carmiano, 79 d.C. Sembra quasi il titolo di un film, dai risvolti apocalittici. Invece, è un pezzo di una realtà che abbiamo imparato a conoscere alla perfezione: quella del degrado dei beni culturali locali. Il quadrato di erba, lamiere e cumuli di terra è avvolto in un silenzio che sa di indifferenza. Il cancello poi si prolunga in un recinto di sbarre scrostate. E ti chiedi a cosa possa servire un cancello, una recinzione o un grosso e inquietante catenaccio. A proteggere cosa? E da chi? Eppure, qualcosa da difendere ci sarebbe: uno dei complessi più favolosi dell’architettura e della pittura romana. Una villa di produzione di 400 mq il cui impianto originario risale al II sec. a.C. E soprattutto una struttura che ha restituito il più bel ciclo di pitture di tutta la romanità. Forse qualcuno, in maniera del tutto casuale, avrà anche sentito parlare di questa villa in relazione al suo celebre triclinio, dal quale sono state staccate le pitture che lo decoravano. Pitture finite poi nelle città di tutto il mondo, da Parigi a San Pietroburgo, passando per Washington. Oggi via Carmiano, o via Ponte di Carmiano, è una semplice espressione geografica, un punto di confine tra il territorio del comune di Gragnano e quelli delle limitrofe amministrazioni di S. Maria La Carità e Castellammare di Stabia. Ma un tempo via Carmiano, e la sua villa, rappresentavano uno snodo logistico di primaria importanza, assicurando il collegamento tra il pianoro di Varano, che sorge a poco distanza, e l’attuale via Madonna delle Grazie, sul cui tracciato un tempo passava la strada in direzione di Nocera. Di questa antica bellezza non resta niente. Un barbarico sistema di case e una strada violentata di buche e dissesti. Non resta niente dello splendore di Carmiano, dei suoi proprietari, del lusso di cui erano soliti circondarsi; non resta niente di quella ricchezza produttiva che la villa era in grado di concentrare, essendo essa una azienda agricola specializzata nella viticoltura. Villa Carmiano è uno spettro, svuotato delle sue ricchezze finite chissà dove. Quello che resta è la sola immaginazione, che fervida corre sotto quei cumuli cimiteriali di terra, per cercare di dare vita ad un passato che abbiamo reso sordomuto. Un passato che pesa sulle nostre spalle al punto tale da doverlo rimuovere a colpi di piccone. Un passato che vogliamo distruggere con le armi più terribili: l’indifferenza e l’abbandono. Ho ripreso in mano un opuscolo pubblicato in occasione della celebrazione del 250simo anniversario degli scavi di Stabiae (1750/1-2000/1); in esso ho letto le dichiarazioni rilasciate dall’allora sindaco di Gragnano, Michele Serrapica, di cui ripropongo un passaggio chiave:
“Perché non ricostruire almeno una delle ville ( penso ad esempio a quella di Carmiano ubicata in proprietà demaniale) per mostrare scene di vita quotidiana, legate all’attività agricola, ricostruendo un torchio vinario, riproducendo gli stupendi affreschi del triclinio, e, perché no, coltivando nello stesso fondo gli stessi vitigni di 2000 anni fa, producendo così lo stesso vino che bevevano gli antichi romani. Sarebbe un modo per fare non solo cultura, ma anche per mettere in moto un circuito economico originale, in grado di attrarre numerosi visitatori, e di dare impulso alle possibilità lavorative dei giovani. Un modo dinamico di interpretare e coniugare la conservazione dell’eccezionale patrimonio archeologico con la sua valorizzazione in un contesto di sviluppo del territorio.”
Giudicate un po’ voi..
Angelo Mascolo