Sotterrare è un verbo inquietante. Vuol dire coprire, nascondere, occultare, tenere lontano dagli occhi e, inevitabilmente, rimuovere. Ma per alcuni questo verbo, dalle accezioni esclusivamente negative, può avere un risvolto sorprendentemente positivo: sotterrare per custodire, conservare. Mi riferisco ai funzionari delle Soprintendenze, ai dirigenti dei comuni, ai tecnici e a tutte quelle figure che si sono trovate a gestire, nell’arco di tanti decenni, i principali ritrovamenti archeologici sul nostro territorio. Che sia un criterio assolutamente sciagurato è evidente dallo stato rovinoso nel quale versa l’archeologia stabiese e non. Ville diroccate, sporche e abbandonate, interi siti scomparsi dalle carte archeologiche e dalla memoria collettiva o ingoiati dall’abusivismo dilagante. L’esempio più eclatante è certamente quello di Villa Carmiano, nel comune di Gragnano. La villa fu rinvenuta del tutto casualmente nel 1963, scavata e poi definitivamente interrata nel 1998. Nel mezzo, però, suppellettili, oggetti, testimonianze pittoriche, ogni cosa portata via e finita chissà dove. Qualche pezzo a Napoli o in qualche mostra sparsa per il mondo. Ma Villa Carmiano è in ottima compagnia: le ville sepolte di Varano, quella del Petraro, quella sciagurata di S.Antonio Abate, quella di Via Petrelloni, sempre in Gragnano, e quella di Via Bardascini nel territorio di S.Maria La Carità. Potrebbe continuare all’infinito lo stillicidio al quale il passato della nostra terra è stato sottoposto. Uno stillicidio che ha avuto come unico risultato quello di impoverire il nostro passato, le nostre coscienze e, in ultimo, il nostro futuro. Sapete, a ogni buon archeologo viene insegnato a rispettare quello che viene scoperto: a tutelarlo, difenderlo per poterlo studiare al meglio. Cosa che non fanno gli scavatori abusivi, volgarmente conosciuti come tombaroli, per esempio. Ma gli scempi delle ville sotterrate, e puntualmente svuotate per rimpinzare i musei o gli archivi umidi della Soprintendenza, non è riconducibile all’opera di clandestini. Ma a tutto il personale che risponde a Pompei, sempre più interessato alla gestione – esclusiva e tra l’altro pure pessima – del sito archeologico. Soprintendenti e archeologi, infatti, non mostrano alcun interesse per le ricchezze dell’ager stabianus, spesse volte destinatarie di attenzioni superficiali o brutali come i seppellimenti sconsiderati. Non solo va messa in discussione la gestione dei cosiddetti siti minori – facenti parte per l’appunto dell’ager stabianus – ma l’esistenza stessa di una Soprintendenza – quella di Pompei – che mostra di avere un disinteresse cieco, inaccettabile e controproducente nei confronti di queste realtà, gettando nella depressione più totale le potenzialità economiche e turistiche dell’intero comparto dei Monti Lattari.
Non vedo a questo punto che due strade: continuare a seppellire quel poco che resta, cosa che farebbe felici diversi funzionari a Pompei, oppure quella di costituire una soprintendenza speciale anche per le antichità dimenticate e sparse tra Sorrento, Castellammare, Gragnano e S.Maria La Carità. Un’ipotesi folle o del tutto spropositata. Tuttavia, di soluzioni diverse non ne vedo in giro, se non quella di perseverare nella politica dei cumuli di terra sul cui conto gravano mezzo secolo di scellerataggini.
Angelo Mascolo