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Il naufragio del Sarno e un processo pubblico ai suoi distruttori

sarno scempio

Agli occhi di un ipotetico viaggiatore del passato, i vortici melmosi delle acque del Sarno, gli stessi che hanno ingoiato senza ritegno le vite di Nunzia ed Anna, avrebbero prodotto un moto di rassegnazione. Perché chi, per ragioni esclusivamente anagrafiche, ha avuto la fortuna di vivere il Sarno nel suo pieno splendore, lo spettacolo squallido che oggi esso offre non dovrebbe essere tollerato in alcun modo. E invece l’indifferenza, mista all’indolenza, frustra ogni forma di reazione.

Eccolo lì l’antico Sarno, venerato dagli antichi addirittura come un dio: un fiume sporco, abbandonato, privo di recinzioni e argini, violentato dagli scarichi industriali e da quelli abusivi, dalle colate indistinte del cemento armato. Un fiume dove la vita aleggia spettrale solo per un istante, prima di essere trascinata nel baratro della morte. Un fiume che emana esalazioni virulente e nel quale la vita, quella animale così come quella vegetale, ha subito un bestiale riadattamento.

Sul Sarno la morte, quella violenta, quella silenziosa, passa ogni giorno. Distruggendo gli ultimi ecosistemi che resistono, le ultime piante floride, le ultime porzioni di aria pura. Ma lo spirito stesso del fiume, limpido e verdognolo come lo descrivevano le fonti del passato, è cambiato inesorabilmente.

Il dio Sarno ha mutato la sua indole: non più dispensatore di vita, ma crudele tiranno di morte. Quello che la tragedia di questi giorni sta imponendo all’attenzione anche dei più ciechi è il fallimento tragico di generazioni di uomini, che hanno istigato il fiume, lo hanno imbarbarito, lo hanno piagato e mutilato, fino a renderlo arido e senza radici e capace, dunque, di qualsiasi cosa. In quelle acque nere, maleodoranti, si è consumato il sogno di una straordinaria civiltà fluviale, che dal Sarno traesse tutto quello di cui aveva bisogno: benessere, prosperità e ricchezza.

Tuttavia, la morte del fiume, e di tutto quello che avrebbe potuto rappresentare, non è niente in confronto alle bugie, alle promesse, ai progetti di sviluppo, alle ordinanze truffa. Niente in confronto agli stupri subiti dalla classe politica che ha avallato l’involuzione del Sarno a mera discarica di confine. Senza lungimiranza, senza amore, senza passione, senza viscere. Solo codardia e interessi di bassa lega. Ed ecco spiegata l’assenza di un piano di crescita, esteso a tutto il bacino dell’agro nocerino-sarnese, il disinteresse più totale per l’arginatura del letto del fiume o, più in generale, per la messa in sicurezza dello stesso.

Ma il macigno che più grava sulle spalle della putrida classe dirigente locale, quella di ieri e quella di oggi sempre più scabrosa, è quello di non aver reso il Sarno uno spazio vivibile, un luogo della mente aperto alla cultura, all’ambiente, all’economia sana, fondata su principi sani. E in queste che sono suggestioni, le stolte suggestioni di chi scrive, sollevano prurito e indecenza i vaneggiamenti dell’ex assessore all’Urbanistica di Pompei, il prof. Gambardella il quale, a proposito del fiume, parlava di “Fabbrica della Conoscenza”, di campi da golf e, udite udite, di un Sarno navigabile.

Perché questi personaggi, gli stessi che ahinoi hanno mostrato una glacialità scostante nei confronti della tragedia di Nunzia ed Anna, non subiscono un pubblico processo? Perché non finiscono sul banco degli imputati per aver distrutto l’ambiente, inquinato le acque e le coscienze, rifilato bugie su bugie, inganni su inganni? Un processo che possa contribuire a fare giustizia e a ristabilire un principio di verità.

Almeno questo, anche perché la bellezza di un tempo è irrimediabilmente naufragata, sopravvissuta unicamente nella memoria disincantata dei pochi.

Angelo Mascolo 

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