E’ difficilmente comprensibile, o meglio lo è ma in maniera ingiustificata, il tentativo portato avanti dalla Soprintendenza di Pompei, e dal suo personale, di minimizzare la portata dei crolli che hanno colpito villa Arianna giovedì scorso. Anzitutto, perché un crollo è sempre un crollo ed è sintomatico di una realtà che non funziona come dovrebbe. Ora che le parti crollate della villa ineriscano strutture moderne piuttosto che quelle antiche non credo che cambi molto. A dire il vero, la cosa è ancora più preoccupante se si considera che la villa romana, nella sua totalità, è protetta da strutture moderne. La cosa che non fa stare allegri è che queste coperture presentano in molti punti un uso massiccio del cemento armato, attraversate da travature di legno o di ferro oramai arrugginito. Non bisogna di certo essere esperti in costruzioni per capire che questi allestimenti esercitano un peso sulle murature antiche inaccettabile.
D’altronde, se gettiamo uno sguardo a Pompei, dove la realtà dei crolli è ahinoi dilagante, ci si accorge che in moltissimi casi i muri hanno ceduto proprio in relazione a costruzioni di questo tipo. Tuttavia, la risposta che prontamente viene data è sempre la stessa: questi interventi risalgono agli anni ’60 e a quell’epoca così si faceva.
Senza dubbio. Ma le avanzate tecniche di conservazione, l’apporto della tecnologia, restauratori qualificati, non dovrebbero costituire la garanzia per qualcosa di meglio? Per esempio, valendosi di pannelli in plexiglass per proteggere i tappeti mosaicati delle ville? Oppure, rimuovendo gli obbrobriosi solai di cemento imputridito, sostituendolo con coperture in materiali più leggeri e all’avanguardia? Integrando materiali quali il legno, ma su scala allargata e non parziale, e soprattutto alluminio, carbonio, vetro? Il cemento è l’unica soluzione? O quella più economica, sbrigativa, parassitaria?
Nessuno vuole creare inutili allarmismi. Stiamo ai fatti. Gli ambienti delle ville di Varano, compresi quelli di Villa Arianna, traboccano di pezzi di colonne, intonaci, capitelli crollati a causa dell’imperizia tecnica e della negligenza. Eppure, questo scempio continuo, che veste sempre più i panni di un’agonia lenta, non ha smosso in questi giorni nessuno. Nessun comunicato emesso, nessuna presa di posizione da parte degli organi preposti. Solo frasi mozzicate qua e là, confidenze di qualche custode, dichiarazioni rilasciate esclusivamente dietro la garanzia che rimanessero anonime. Ulteriore prova che il cordone omertoso che avvolge Varano, le sue ville, e gli organi della Soprintendenza pompeiana non è una trovata giornalistica o una realtà aleatoria.
E di questo quadro a tinte fosche entrano a pieno titolo quelle istituzioni che, in appoggio alla Soprintendenza, dovrebbero di concerto promuovere e rilanciare il territorio: Azienda Cura e Soggiorno di Castellammare di Stabia, il Comitato Scavi di Stabia e la Fondazione RAS del notaio Spagnuolo. Il sospetto sempre più fondato è che questi soggetti facciano una sorta di gara. Una competizione ad esclusione reciproca, perdendo di vista il loro vero e unico obiettivo: il rilancio turistico di Castellammare. Invece, nicchiano. In questi giorni ho visto fare brindisi, auguri, propositi per l’anno nuovo. Proprio mentre il pianoro di Varano faceva registrare l’ennesimo crollo e l’ennesima chiusura pro tempore.
In fondo, sono crollate solo delle tegole moderne a Villa Arianna. Quando i crolli interesseranno pure le parti antiche, allora e solo allora qualche faccia di bronzo – forse – si smuoverà.
Angelo Mascolo