“Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev’essere. Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron ‘Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch’era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla.”.
Per Giovanni Verga i Malavoglia erano “quelli della casa del nespolo”; ma l’albero da noi immaginato corrisponde realmente all’essenza raccontata dal grande scrittore siciliano? Se la nostra cultura naturalistica non è sufficientemente ampia la risposta è, probabilmente, no.
Mentre il nespolo comune è pianta conosciuta da lungo tempo; coltivarlo nel cortile assicurava saporiti frutti, ristoro e compagnia “nell’estate ci avrà lì vicino il nespolo per fargli ombra” e fungeva da segnatempo “Il nespolo intanto stormiva ancora, adagio adagio, e le ghirlande di margherite, ormai vizze, erano tuttora appese all’uscio e le finestre, come ce le avevano messe a Pasqua delle Rose.”.
Tutte cose che la nostra cultura, superficiale e distratta, non è più in grado di apprezzare. A pagarne le conseguenze anche la nostra fantasia, costretta a barattare il povero nespolo con un aristocratico albero esotico.
Ferdinando Fontanella
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