Torre Annunziata, il gioco delle tre carte e lo scavo ingoiato

area ritrovamentiHa sollevato un incontenibile polverone il pezzo dell’Espresso, a firma di Fabrizio Ferruccio, in merito ai presunti seppellimenti, pertinenti all’area archeologica extra urbana di Pompei, che i lavori di costruzione del nuovo centro commerciale di Torre Annunziata avrebbero determinato. Dubito fortemente che i responsabili di questo seppellimento, documentato da foto che, per onestà intellettuale, non sciolgono del tutto i dubbi e non mostrano mai chiaramente quanto rinvenuto,  siano stati mossi da qualche desiderio di preservare i preziosi reperti.

Questa storia, una brutta storia lo diciamo da subito, assomiglia molto da vicino al gioco delle tre carte. Non tanto per la rotazione continua dei suoi protagonisti – soprintendenti, costruttori, ingegneri, geometri, tecnici – ma soprattutto per la tendenziosità e l’impiccio che la scandiscono. Ragionando in termini prettamente tecnici, la condotta della Soprintendenza di Pompei è a dir poco impeccabile, avendo richiesto alla società costruttrice tutte le verifiche del caso. Ma tutti sanno, Soprintendenza compresa, che l’area a nord-ovest della Pompei antica, quella subito fuori le mura e attraversata in antico dalla via consularis in direzione di Napoli, ha una rilevanza fondamentale da un punto di vista archeologico. Infatti, è proprio qui che si sviluppava un quartiere artigianale, prospiciente il porto fluviale della città, arricchito dalla presenza di sfarzose dimore patrizie.

Una parte di Pompei sconosciuta ai più, che avrebbe guadagnato alla conoscenza scientifica informazioni di prima mano sulla vita economica e sociale della città in epoca romana.

Dal canto suo, la società costruttrice, almeno nelle intenzioni, sarebbe stata anche disposta ad operare una variante al progetto. Ma si sa. Le intenzioni, anche quelle migliori, perdono smalto e brillantezza quando incontrano una realtà fatta di lievitazioni di costi, di opportunismi e margini di guadagno.

centro commerciale

Secondo me questa vicenda sta dimostrando l’assenza di un approccio morale e di responsabilità scientifica, soprattutto nel non aver impedito da subito la costruzione e nel non aver tutelato in alcun modo l’area: – ha spiegato il dottor Nappo, archeologo della Federico II di Napoli – è dal 2007 che diciamo, insieme ad altri colleghi, che quell’area  del suburbio occidentale dell’antica Pompei riveste un’importanza capitale per la conoscenza dell’economia romana antica. Ma nessuno ci ha dato ascolto. Fin da subito, è emersa una volontà chiara di destinare quell’area all’edificazione.

Qualcosa non torna. Se la Soprintendenza di Pompei ha disposto tutte le verifiche e la società costruttrice era disponibile a modificare il progetto d’origine, perché ad oggi tutto risulta ingoiato? Come spiegare le fondamenta dei prefabbricati grigi e senza sostanza? Perché piazzare in uno spazio di 900 metri quadri, per giunta a ridosso di Porta Marina, un tempio di multinazionali senza decoro estetico o morale?

Tutte queste risposte rimandano al gioco delle tre carte. Alle mani furbe e veloci, aggiungo criminose, che hanno giostrano, e sguazzato, in questa vicenda. A quelle mani truffaldine che hanno strozzato la straordinaria possibilità di sviluppo del comprensorio archeologico pompeiano. Ma in questa storia di impicci e di doveri mancati, tanto morali quanto tecnici, la verità latita. Perché non si capisce bene come un così marchiano errore sia stato possibile.

Come sia stato possibile ingoiare un quartiere artigianale di duemila anni fa senza che nessuno sapesse nulla. Oppure, bisogna pensare che qualcuno sappia più di quanto dice. Qualcuno che ha firmato, avallato, coperto questo scempio. E siamo curiosi, ansiosi sarebbe il termine più adeguato, di poter leggere i nomi dei galantuomini che, con molta probabilità, saranno gli stessi, fieri e fausti, a sfilare all’inaugurazione dell’ennesimo e incomprensibile centro commerciale.

Angelo Mascolo

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