Il 18 marzo di 70 anni fa era sabato, l’aria tersa e profumata faceva presagire la prossima primavera.
Un giorno di lieta attesa per il popolo vesuviano, la domenica dedicata a San Giuseppe avrebbe sicuramente donato un po’ di serenità. La vita nella ferace terra all’ombra del Vesuvio da troppo tempo andava avanti tra stenti e privazioni. La guerra era in casa, un orrore senza fine.
Il brontolio del vulcano mutò, purtroppo, l’aspettativa in angoscia, l’eruzione del 1944 era iniziata. Una densa colonna di fumo saliva in alto, spargendo per paesi e campagne grandi quantità di ceneri e lapilli. L’attività eruttiva durerà, con l’alternanza di fasi più o meno intense, quasi un mese cessando solo il 7 aprile.
A causa dell’eruzione persero la vita 26 persone, uccise principalmente per il crollo dei tetti appesantiti dai piroclasti o per la pioggia di lapillo, solo 2 ragazzi morirono per lo scoppio di una cisterna investita dalla lava. Oltre al dolore per le vittime i vesuviani dovettero fronteggiare l’aggravarsi della devastazione urbana, già pesantemente compromessa dai bombardamenti, e il patimento per la perdita dei prodotti agricoli, essenziali per il sostentamento alimentare, annientati dalla pioggia di cenere.
La sofferenza causata dalla guerra era, tuttavia, talmente grande che in pochi diedero importanza all’attività vesuviana e nessuno poteva immaginare che il Vesuvio, per lunghi anni, non avrebbe più manifestato la sua natura violenta. Quella del ’44 rientrava, del resto, nella norma da oltre 300 anni, dalla grande eruzione del 1631 il vulcano aveva con regolarità fatto sentire la sua presenza.
Non più guidati dalla voce del Vesuvio, nel corso di questo lungo silenzio, il paesaggio e gli abitanti vesuviani sono progressivamente mutati. Il laborioso popolo di contadini e pescatori, rassegnato ad una convivenza intima e pacifica col vulcano è diventato un ammasso brulicante, prepotente e caotico, stipato in un’immensa città che ha inghiottito la campagna e circondato l’edificio vulcanico.
La conseguente perdita della meroria storica ha reso i vesuviani un popolo timoroso con in testa una sola grande preoccupazione: sapere come e dove scappare quando il Vesuvio tornerà in attività. Più utile sarebbe il recupero di un sano rapporto col vulcano, quasi nessuno purtroppo guarda al Vesuvio come una componente normale del paesaggio, che non è per forza un pericolo da cui fuggire ma una risorsa per cui vivere.
Ferdinando Fontanella
Twitter: @nandofnt
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