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La Paranza d’Ognundo perpetua il Cerimoniale del Sabato dei Fuochi

paranzaDopo mesi di pausa e di concitata attesa, finalmente ritorna la festa tanto adorata dal popolo sommese; La Festa della Montagna; tammurriate e pratiche devozionali per la Madonna di Castello, per la Madonna Pacchiana. In molti verranno ad onorare la paranza d’Ognundo, che il prossimo 26 aprile, celebrerà il Sabato dei Fuochi presso il tuoro della Novesca.

“La sensazione – afferma il Prof. Fabio Birotti, etno-antropologo – che subito cresce nell’animo di chi si accinge al sabato dei fuochi o si accosta alla stessa paranza d’Ognundo, è di vera e propria vertigine; è come trovarsi in un santuario mistico e carnale, semplice e prezioso, dove l’icona oggetto di culto si manifesta come specchio del mondo e del volto nascosto di ognuno di noi, santo e grifagno, adolescente e morente. Seguire la paranza d’Ognundo per tutti questi anni ha significato condividere e percepire la loro intera esistenza, la loro commozione e il loro vissuto di credenza, penetrare nella grande e fitta foresta di emozioni e capovolgimenti socio-culturali che ha percorso tutta la loro storia, con la consapevolezza di chi conosce ormai bene l’argomento e sa anche quanto qualsiasi risposta data, possa essere solo nuova ipotesi di ricerca, sempre legata all’ombra di un altro progetto di studio e di approfondimento.

I rituali ai quali si può assistere in questo giorno non sono né pagani né profani almeno nel senso comune che diamo a queste parole o nell’accezione sacro-profano ideata da Émile Durkheim. I riti arborei, i cerimoniali dei fuochi o i canti a’figliola devono essere considerati come pratiche cultuali di fede popolare, e possono essere profani in quanto pro del fānum, cioè fuori e in attesa del sacro. Le stesse tammurriate, dai frenetici tamburi e dagli instancabili danzatori, aldilà del loro aspetto ludico o trasgressivo, sono cerimoniali coreutici sia esorcistici che adorcistici, sono riti di fede popolare dalla loro intensa forza espressiva, purificatoria e liberatoria. Che i riti popolari e le stesse tammurriate siano ricchi di esibizione, di spettacolarizzazione o costruzioni estetiche è segno evidente che la stessa tradizione popolare per sopravvivere ha dovuto assorbire i medesimi linguaggi culturali vigenti nella contemporaneità; sempre nella necessità di apparire, di sentirsi parte di qualche cosa, immagine medesima di quel momento o di un rito di fede popolare, nel sentirsi attori e protagonisti della tradizione territoriale. Essere immagine, apparire, appunto come protesi culturali di sopravvivenza, come segni culturali che la tradizione popolare medesima ha assorbito dall’odierno e centrale modello sociale. Ma in questo caso, in questo gruppo umano, in questo cerimoniale, stiamo parlando di altro; la festa è e diventa un tempo e uno spazio sospeso dal quotidiano dove è possibile incontrarsi nuovamente con la Madonna, con i morti, con tutti i propri cari, che prima di loro onoravano la presenza della “mammarella nostra”,come la chiamano affettuosamente i sommesi, con i medesimi atti rituali; uno spazio altro, ‘ncopp’’a Nuvesca dove è possibile, in quanto statuto e senso,ricevere benefici, contagiarsi, impregnarsi nuovamente di sacro. Il cerimoniale – conclude il Prof. Birotti – in questa paranza continua ad essere un momento eccezionale e commovente, un attraversamento drammatico e angoscioso proprio perché al limite di una dimensione extra-quotidiana, a tu per tu, al cospetto di entità ed alterità potenti, supplicate, anelate e invocate tramite il canto a’ figliola.”

Pasquale Annunziata

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