Saviano : “Mia famiglia”, commedia di Eduardo De Filippo, il lavoro scenico portato sul palco savianese dal gruppo teatrale Arci – Attori, per la regia di Felice Falco. Notevole il consenso del pubblico. La commedia, scritta nel 1955, inserita nel gruppo di opere la Cantata dei giorni dispari, ha una dinamicità strettamente attuale. La trama è così, sinteticamente, descritta: la famiglia del protagonista è “moderna”, Alberto Stigliano, speaker affermato, con la sua famiglia vive il secondo dopoguerra. Tempo in cui si cercava di dimenticare, per quanto possibile, l’orrore del periodo precedente. Siamo in un’ epoca in cui in Italia sta per arrivare il «miracolo economico». Un impetuoso e veloce sviluppo che trasforma il modo di vivere, le abitudini della popolazione, l’aspetto delle città.
La spinta data allo sviluppo dal desiderio di tante persone, appartenenti a tutti i livelli sociali, di raggiungere il benessere, lasciandosi alle spalle gli anni difficili e bui della guerra, provoca effetti che investono e condizionano la vita. L’espansione anomala dell’urbanistica, artificiosità dei desideri , la spasmo del ritmo vitale, l’insufficienza dei vecchi schemi familiari, hanno risvolti sociali e come conseguenza determinano la solitudine dell’uomo. Come si evince da molta della letteratura del Novecento, vedi Pirandello, Svevo, Moravia, l’uomo moderno profondamente sempre più solo. La commedia è la storia di una piccola società familiare in fase di dissolvenza e riflette quella più ampia della borghesia italiana. Descritta senza reticenza alcuna, svelandone la corruzione morale, l’apatia, il senso di solitudine e di incomunicabilità celato dietro il paravento delle convenzioni. Tornando ai personaggi,la moglie Elena è come se non ci fosse, vive praticamente fuori casa, presa dagli incontri con le amiche e dalla spirale del vizio del gioco che la trascina sempre più a fondo; i figli, ormai, sono abbandonati a se stessi: Beppe è l’ emblema della “gioventù bruciata”. Beppe potrebbe lavorare alla radio con il padre ma non vuole, è attratto dal mondo dorato della celluloide e, sentendosi lontano da suo padre anni luce, smette di parlargli. Preferisce avere a che fare con qualche eccentrica amicizia come Guidone, giovane dalle tendenze sessuali “particolari”. Sarà proprio lui che lo persuade delle sue grandi possibilità di lavorare nel campo cinematografico.
Il personaggio di Guidone impersona una sorta di spirito perfido, tentatore, che lo trascina, seppure involontariamente, verso la più completa rovina. La figlia Rosaria si atteggia a donna spregiudicata e vaneggia ideali di liberazione. Anche Stigliano non è immune: ha con un’altra donna, una vita parallela, la famiglia è solo una facciata dove in realtà regna l’incomunicabilità. Gli avvenimenti hanno la loro chiave di svolta quando il figlio Beppe, è a Parigi dov’è in lavorazione il film al quale prende parte. La crisi della famiglia di Alberto diviene perfetta e raggiunge il suo apice, quando la moglie, deve confessare al marito di aver perso una grossa somma di denaro. Alcune sciagurate compagne di sventura del circolo di gioco sono arrivate, piuttosto vivacemente, in casa Stigliano, reclamando i loro soldi . Alberto, colpito da quanto sta accadendo, smette improvvisamente di parlare: non diviene muto come si sospetta ma è solo una forma di protesta originale e ben congeniata.
Elena, compresa la sua condotta erronea, si redime e per sostenere la famiglia lavora in casa come sarta. Ma ancora una volta il classico colpo di scena: improvvisamente ritorna, fuggendo dalla Francia, il figlio Beppe; è sospettato per l’omicidio del regista del film. A questo punto il padre recupera la parola, che mai aveva perduto, e denuncia il figlio alla polizia con una telefonata tra il forte stupore di tutti. Segue un parlare forte deciso: un dialogo familiare nel quale predomina la figura paterna; parole potenti da brivido, da scuotere le coscienze, il cui eco non si spegne facilmente. Un dialogo chiarificatore che scava nel profondo nelle coscienze in modo irruento con tonalità potenti e drammatiche . In quel crogiolo di idee dove anche il silenzio scenico pare rendere più acuminato il distacco tra il caos e un avvenire migliore, non vi sono vincitori e vinti.
È solo un rimpossessarsi di un avvenire perduto. È trascorso molto del tempo scenico all’apertura del sipario sul III atto: Beppe, provata la sua innocenza, lavora con il padre alla radio; proprio il mestiere che aveva sempre, a priori, scartato; la figlia Rosaria si è sposata con il fidanzato Corrado, con cui ha sempre condiviso, a suo dire, le sue idee “ avanzate”. Per l’occasione Alberto, che ha lasciato la famiglia, andando a convivere con la sua amante, è tornato per l’occasione a casa insieme ai genitori di Corrado, seppure non invitati ufficialmente. Improvvisamente arriva il giovane sposo che riconduce, a passi infuriati, Rosaria a casa dei genitori. Insomma Corrado, l’uomo dalle moderne idee, è furiosamente insicuro, una condotta all’opposto di quando ostentava con la sua pseudo modernità. Alberto comprende il dramma di quei giovani scombussolati, che si atteggiano ad anticonformisti ma che in fondo sono rimasti legati alla loro ingenuità: inevitabilmente ci sarà una fase di riconciliazione. Una momento chiarificatore si ha quando finalmente padre e figlia si parlano come mai avevano fatto prima. Un dialogo di grande potenza espressiva e dai toni energici, sentimentali, commoventi, dinamici. Dopo una conversazione con la moglie, che vorrebbe che il marito tornasse, perché quella è la sua vera famiglia, Alberto risponde quasi rasserenandola. Su tale interrogativo ,su quel osservare nostalgico la sua casa pieno di espressività si chiude il sipario su di una storia che potrebbe continuare all’infinito. In questa commedia Eduardo, è evidente, affronta il tema della famiglia e del conflitto generazionale. In questa fase è d’obbligo, per completezza di informazione, citare il personaggio di Arturo Stigliano, fratello del protagonista: a lui sembra non interessi molto il conflitto generazionale; è rimasto nel mondo malinconico di anni addietro, all’epoca bellica di un tempo e ne condivide ancora gli ideali nostalgici di vecchio combattente del secondo conflitto mondiale. In modo esplicito al centro dell’opera vi sono i complessi rapporti familiari che connettono i membri di una famiglia tipo. Dei componenti ognuno ha una vita propria. Inutilmente il protagonista cerca di tenere assieme i pezzi. In quest’opera per la prima volta vengono affrontati argomenti molto complessi per i tempi in cui si svolgono gli avvenimenti come quello dell’omosessualità. Il personaggio Guidone, che è in scena all’inizio del primo atto, è dichiaratamente omosessuale. Un durissimo giudizio si delinea per questo personaggio: a parere del nostro protagonista, che non condivide l’amicizia di questi con suo figlio, l’omosessualità è assimilabile ad una sorta di “diabolica” setta . L’autore, in effetti, ha voluto soltanto, senza demonizzare nessuna categoria, inserire esempi emblematici della dissoluzione familiare esaltandone l’aspetto maggiormente dannoso: la mancanza di una energica e al tempo stesso amorevole figura paterna. Beppe cede alle pretestuosamente lusinghiere proposte dell’amico, ma poi torna rovinosamente in patria: un’amicizia deleteria che lo porta ad imparare, a sue spese, le più nefaste conseguenze e ad apprendere una lezione di vita preziosissima; uno spiraglio di luce per uno svolgersi della vita più congeniale. Meritano citazione e segue la descrizione del quadro degli attori: Salvatore Tufano, Michele Falco, Giusy De Sena, Giovanni Aliperti, Mariateresa De Stefano, Giuseppe Tufano, Melania Fucci, Salvatore Allocca, Antonio Romano, Enzo Mauro, Monica Giannini, Carla Giannini, Rosaria Aliperta, Carmela Cassese, e infine Nicola Serpico.