“Dal punto di vista delle Regioni, potremmo definire il 2012 un’annata contraddittoria, in cui ai tagli non è corrisposto un effettivo miglioramento della situazione economico-finanziaria”.
A dirlo, ‘Il rapporto sulle Regioni in Italia 2013’ dell’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie ‘Massimo Severo Giannini’ del Consiglio nazionale delle ricerche (Issirfa-Cnr) presentato oggi, presso la Camera dei Deputati (Sala Mercede di Palazzo Marini, ore 17,00), nell’ambito del convegno ‘Dove va lo Stato regionale?’.
“Lo spaccato mostra le Regioni del Nord agganciate agli standard europei e quelle del Sud scivolare verso livelli di inefficienza insostenibili”, sintetizza il direttore dell’Issirfa-Cnr, Stelio Mangiameli. In termini fiscali, per esempio, emergono differenze marcate, con pressioni inferiori al 2,5% per la Provincia Autonoma di Bolzano e la Valle d’Aosta, oltre il 4% per la Campania e il 4,7% per il Lazio. Un cittadino con redditi inferiori a 15.000 euro è esentato dall’addizionale Irpef a Bolzano, versa un’aliquota dell’1,25% in Basilicata e oltre il 2% in Calabria, Molise e Campania. Le aliquote dell’Irap vanno dal 3% di Bolzano, al 3,45% di Trento, a quasi il 5 di Calabria, Molise e Campania.
“L’aumento della pressione fiscale, soprattutto al Sud, è legato ai piani di rientro sanitari e la sanità è un ambito nel quale la ‘contraddittorietà’ si manifesta maggiormente”, prosegue Mangiameli. “Anche nel 2012 le politiche sono state mirate al contenimento della spesa e tra tagli lineari, innovazioni procedurali, responsabilizzazione finanziaria e miglioramento dell’efficienza, in alcune Regioni l’erogazione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e il diritto alla salute sono meno garantiti”.
La spesa sanitaria corrente si è mediamente ridotta ed è rimasta stabile in rapporto al Pil (7%): è però aumentata tra l’1 e il 2% in Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Sardegna, Trento e Bolzano, mentre è calata in Liguria (3,2%), Basilicata, Piemonte, Toscana, Marche, Molise, Campania, Puglia. La spesa farmaceutica convenzionata è diminuita quasi del 9%, quella per il personale dell’1,4%. Il disavanzo è sceso di oltre 500 milioni (-20%) passando, in rapporto al finanziamento effettivo, dal 6,5% del 2006 al 2% nel 2012, ma la riduzione è pesata per più di tre quarti sulle Regioni con piano di rientro (Piemonte, Veneto e Lazio), mentre si è verificato un aumento in quelle a statuto speciale e nelle Province autonome.
“Le politiche socio-assistenziali risentono, forse più ancora, della crisi economica. La materia rappresenta circa il 10% della produzione normativa regionale ma i contenuti sono cambiati sensibilmente: ferma la spinta alla crescita, ci si orienta a garantire l’esistente”, dichiara il direttore dell’Istituto. “Il 2012 è stato un anno di grande difficoltà, giacché la Legge di stabilità ha stanziato per il Fondo nazionale politiche sociali solo 70 milioni di euro, di cui appena 10,7 destinati alle Regioni, molte delle quali continuano comunque a sostenere famiglie a basso reddito, numerose, con anziani e/o disabili – Lombardia, Sicilia, Umbria, Bolzano, Campania, etc. – e a intervenire nell’ambito dei servizi per l’infanzia: Piemonte ed Emilia-Romagna, per esempio”.
Alcune Regioni hanno tentato di limitare l’accesso alle prestazioni sociali per ‘anzianità di residenza’ sul territorio, criterio che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale. Per quanto riguarda gli stranieri non comunitari, il numero dei regolari è in costante crescita e la diminuzione di nuovi ingressi è netta, mentre nel 2012 è in risalita la quota di italiani che si trasferiscono all’estero. “Una ripresa della migrazione, soprattutto dei giovani, registrata dalle Regioni ancor prima che dallo Stato”, osserva Mangiameli.
Nel 2012, infine, le agevolazioni erogate da Stato e Regioni a sostegno di imprese e attività produttive si attestano intorno ai 3,4 miliardi di euro. Il dato preoccupante è che tra 2006 e 2012 il livello si è più che dimezzato, portandoci ben al di sotto della media europea.
“Dal rapporto si evince che, nonostante alcuni limiti istituzionali italiani, il giudizio sulle Regioni resta positivo”, conclude Mangiameli. “Il regionalismo ha migliorato le politiche pubbliche, soprattutto quelle territoriali e sociali, rendendo più sopportabili i disagi che persone, famiglie e imprese stanno soffrendo in questi anni. Per quanto riguarda il sistema delle relazioni e il riparto delle competenze tra centro e periferia, sempre farraginoso e poco funzionale, la crisi ha però segnato un ‘centralismo di ritorno’”.