Il regista Paolo Genovese è stato premiato ieri sera a Pompei con l’Italian Movie Award “Per aver scritto e diretto una delle migliori commedie degli ultimi anni, “Tutta colpa di Freud”: un’opera dalla comicità originale, coinvolgente e intelligente, con un cast d’eccellenza”.
Di seguito, l’intervista realizzata dal direttore artistico del Festival, Carlo Fumo.
I tuoi film hanno sempre avuto grande successo di pubblico e di incassi. C’è un tuo film preferito, tra quelli che hai scritto e/o diretto?
E’ difficile fare una graduatoria, è un po’ come i figli, si vuol bene a tutti uguale, nel senso che ogni film che si fa ti rimane nel cuore per un motivo diverso. Sono legatissimo a “Immaturi”, perché racconta una parte di me, a “Una famiglia perfetta” perché ci ho messo 10 anni per convincere i produttori a farlo, era un film che nessuno voleva fare. “Tutta colpa di Freud” è un film al quale sono molto legato perché è un film diverso dai miei ed è un film “al femminile”: avevo voglia di fare un film “rosa”, raccontare storie di donne (sono tre sorelle), cimentarmi con una psicologia che è diversa dal solito, diversa dai tremi che generalmente tratto. Chiaramente il successo di un film è fondamentale, per il produttore, in termini di “milioni” al box office; per un autore quei soldi si trasformano in persone che lo vanno a vedere. Il cinema lo facciamo per il pubblico, ed è importante, secondo me, avere un pubblico di riferimento, piccolo o grande che sia. E’ importante avere delle persone a cui parlare, a cui interessano i tuoi film. “Tutta colpa di Freud” ha avuto più di 1 milione di spettatori. E questo da un lato ti inorgoglisce, dall’altro di ti dà una maggiore responsabilità rispetto ai film successivi, perché non vuoi deludere le aspettative. In ogni film cerchi di far meglio perché sai che ci sono delle persone che ti dedicano una serata, del loro tempo, che è prezioso. Ci penso spesso: per me è importante non deludere ogni singolo spettatore che esce di casa per venire a vedere il film.
Ci puoi raccontare qualcosa sul prossimo film?
Il prossimo film è una commedia sentimentale pura, un po’ all’americana, molto semplice, una favola. Si parla di una blogger di moda milanese, una ex modella, molto bella, molto sofisticata, molto snob, che vive tra Parigi e Milano, lavora per una famosa rivista di moda, che finisce per vari motivi in un paesino della Puglia e si innamora di un contadino. E’ quasi come un archetipo: la bella e la bestia, il nord e il sud, due umanità completamente diverse che si incontrano: questa è l’idea. Nel cast, non ancora completo, ci saranno Raul Bova, Emilio Solfrizzi, Sergio Rubini, Vittoria Puccini, Nino Frassica, Neri Marcorè, Sabrina Impacciatore.
Tutti i tuoi film sono contraddistinti da cast importanti. Magari tra tutti gli attori che hai diretto chi è quello che ha interpretato al meglio la visione che avevi di quel ruolo?
Tanti, perché ho avuto la fortuna di lavorare con tante persone. Ne posso citare uno, perché è un mio collega regista, che è Sergio Castellitto: trovo che come attore sia straordinario.
Il tema di quest’anno del Festival è l’Ambiente. Quanto può aiutare il cinema a sensibilizzare su temi così importanti?
Il cinema ha una responsabilità fondamentale, è un po’ un cavallo di Troia: entra nel cuore delle famiglie e delle persone. E’ uno degli strumenti di comunicazione privilegiati, soprattutto con le nuove generazioni, con i giovani. I miei figli sono molto condizionati molto più da ciò che vedono su You Tube, su internet, al cinema, insomma nella videocomunicazione, di quanto gli possa insegnare la scuola. E’ triste, ma è così, perché l’immagine video ha una grossa influenza. Quindi l’autore, da sempre, ha questa grossa responsabilità, di poter giungere al cuore delle persone e di poter sottolineare temi a volte importanti. Quando il cinema è denuncia, l’importante è non perdere la capacità di indignarsi: l’autore può e deve indignarsi perché ha uno strumento forte per farlo.
Che consiglio possiamo dare ai giovani che oggi si avvicinano al cinema?
E’ difficile rispondere, quello del cinema è un mondo troppo variegato: dipende da cosa si vuol fare. L’unico consiglio che si possa dare per questo lavoro, in assoluto, è di avvicinarsi al cinema con un’onestà intellettuale di fondo, cioè non pensare ai luccichii, al red carpet, perché non è questo il cinema: questa è la “conseguenza” del cinema. Chi si approccia a questo lavoro, non deve pensarci: purtroppo la maggior parte dei giovani non sono innamorati del cinema, ma sono innamorati dell’idea del cinema, di tutto ciò che c’è intorno, che è solo una “conseguenza”. Quindi l’unico consiglio che posso dare è di approcciarsi al cinema come ad un qualunque altro lavoro, perché chi vuole farlo deve essere un professionista come gli altri, è un percorso serio, bisogna studiare e sacrificarsi. Non si deve pretendere che dopo sei mesi, solo perché, ad esempio, si è fatto “Il Grande Fratello”, si fa un film, ma bisogna studiare.
Il regista ha poi risposto ad alcune domande formulate dal pubblico.
Ti ispiri a un regista in particolare?
Apprezzo tantissimo la filmografia della commedia inglese, molto ironica, sarcastica, ma che comunque è in grado di coniugare il divertimento, la leggerezza, con il tema sociale. E trovo che la commedia possa, in modo leggero ma non superficiale, portare dei temi molto importanti ad un grandissimo pubblico. A volte il film d’autore, con il tema serio o pesante, viene respinto dal pubblico che invece vuole divagarsi. La commedia lascia entrare un tema, arriva a milioni di persone e si può comunque trattare con leggerezza un tema “pesante”.
Ti hanno mai imposto qualche attore?
Non mi hanno mai imposto nessun attore, ma ci hanno provato, come con tutti ci si prova, è inutile nascondersi dietro a un dito. C’è un meccanismo per cui, a volte, si tende a far lavorare determinate persone. Ma nel cinema è difficile farti imporre qualcuno perché il film lo ami come te stesso, è una tua creatura, lo hai scritto, non permetteresti a nessuno di rovinartelo mettendo una persona che non è in grado di fare il protagonista, quindi sono tentativi abbastanza inutili. Ti devi difendere: una volta ho minacciato di non fare più un film se non mi facevano scegliere gli attori che volevo. La difesa della creatività è importantissima in questo lavoro. Il malcostume del raccomandato c’è nel cinema come in qualunque altra situazione, chi può deve mettere una barriera.
Un film che sia un tuo sogno nel cassetto o il film della vita?
Ogni lavoro che fai pensi che sia il film “della vita”. Ho dei film che è più difficile realizzare nel senso che, paradossalmente, fare film da grandi incassi diventa una gabbia, perché permette di avere dei finanziamenti, di fare i film che vuoi, però “quel” tipo di film che genera incassi. Appena cerchi di cambiare genere non te lo fanno fare, ma non perché pensano che tu non sia in grado, ma per un semplice discorso di mercato. Ho un film nel cassetto, sempre una commedia ma molto scomodo, molto diversa dal solito, più di nicchia, che sto cercando di farmi produrre: ma già so che non è un film da grande pubblico. In qualche modo ci riuscirò!