Gomorra: casa Savastano valeva un’estorsione. Tre uomini dei Gallo-Cavalieri in manette

casa savastano

Estorsione aggravata dal metodo camorristico ai responsabili della produzione della serie televisiva “Gomorra”: tre persone in manette.

Questa mattina il Nucleo Investigativo dei carabinieri del gruppo di Torre Annunziata, agli ordini del maggiore Alessandro Amadei, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Napoli che ha parzialmente accolto la richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea.

I destinatari dell’ordinanza sono: Francesco Gallo (attualmente detenuto e ritenuto uno dei capi del clan camorristico Gallo-Cavalieri); Raffaele Gallo e Annunziata De Simone (genitori di Gallo). I tre sono indiziati del delitto di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Nell’ambito delle riprese televisive della serie “Gomorra”, avvenute nel corso del 2013, la società di produzione “Cattleya” aveva individuato l’abitazione di Francesco Gallo di Torre Annunziata, ubicata nel rione “Parco Penniniello” quale location delle riprese. In particolare l’immobile è stato utilizzato per ambientare la casa della “famiglia Savastano” protagonista della serie televisiva. Come corrispettivo, la società di produzione avrebbe accettato di pagare a Gallo un canone complessivo di 30mila euro, da versare in cinque rate da 6mila euro. La prima rata sarebbe stata versata a marzo 2013, ma il successivo 4 aprile, Francesco Gallo è stato arrestato poiché accusato di partecipare ad un’associazione camorristica. Contestualmente gli è stato notificato il decreto di sequestro preventivo dell’abitazione di via Plinio a Torre Annunziata, dove stavano per cominciare le riprese.

Nel corso delle indagini, svolte attraverso l’utilizzo di intercettazioni telefoniche ed ambientali e senza il contributo degli interessati, si è accertato che i genitori di Gallo avrebbero continuato a mantenere rapporti con alcuni addetti alla produzione ed alle riprese della serie tv, ottenendo il pagamento nelle loro mani di un’ulteriore rata, nonostante l’intero canone dovesse essere corrisposto unicamente all’amministratore giudiziario nominato dal giudice che aveva disposto il sequestro. Gli addetti alla produzione avrebbero evitato di versare le somme restanti solo a seguito di trattative che intraprendevano direttamente con gli uomini del clan, senza che venisse informata l’autorità giudiziaria.

Rispetto ad altre ipotesi di reato, ovvero associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, favoreggiamento personale, corruzione, contestate agli indagati, la Dda ha interposto appello avverso il provvedimento di rigetto emesso dal giudice.

Francesco Ferrigno

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