Da giorni i nostri rotocalchi hanno molto di cui scrivere.
Notizie della settimana: la, finalmente, rimozione della Concordia avvenuta dopo lo “occhei!” di Schettino che stabilisce che l’approdo in quel di Genova “andrà bene”. Detto da Schettino è un incentivo a tenere scoglietti e sassoni lontani da ciò che resta della Concordia.
Altra notizia? La fuga d’amore di Buffon e della giornalista. In Grecia a scambiarsi baci. Fuga da che se pure il Papa sa che stanno assieme? A scambiarsi, per di più, baci. Che marrani!
Si parla, poi, di sor Gennarino. L’uomo che colorò di rosso le scure acque di Castellammare. Il popolo già aveva contattato “Misteri”. Un miracolo, un segno di dio, la cromoterapia, i nuovi colori dell’inquinamento. Invece no. Gennarino detiene un negozietto di ferramenti e un bidone di pittura diluita gli si è riversato sul suolo. Grazie a una pompa l’acqua è poi defluita nel lido mare. Certo che Gennarino deve aver scomodato una intera partita di pittura rossa per coprire il colore buio del mare stabiese.
Ma la notizia che più mi ha incuriosita è stato il “shish the world” di Renzi. Il nostro premier, al Digital Venice di Venezia, durante il suo intervento, pare sia scivolato un po’ sulla pronuncia. Al punto che interi periodi sono stati tradotti in italiano per sottolineare gli Orrori di pronuncia e lessico dell’ enfant prodige. Anche un motivetto remixato ha fatto il giro del web, atto a canzonare il premier. C’è la vena goliardica, occhei. Prendiamola sul ridere, occhei. Siamo noti al mondo per la nostra simpatia e proprio sull’autoironia (che di auto- ha ben poco) non sorvoliamo?
Noi italiani ci canzoniamo, ma lo facciamo in grande e coll’eco se ad essere canzonati sia chiunque tranne noi. Abbiamo poi ‘sta sorta di esigenza affinché chi ci rappresenta, in politica e non, disponga di una impeccabile padronanza della lingua mondiale, l’inglese. Perché ognuno di noi, chiunque condivida il motivetto remixato e/o l’articolo del quotidiano nazionale riesce perfettamente ad esprimersi e pensare in inglese.
Levateci un traduttore qualunque e conquisteremo sonore figure di melma?
Verissimo, la conoscenza basica dell’inglese è requisito chiesto in quasi ogni impiego e chiedere che i nostri eletti sappiano non farci deridere non è chiedere molto. Ma se a canzonarli siamo, in primis, noi?
Renzi non è il primo a scivolare sull’inglese e non sarà l’ultimo. Non è il primo ad essere corretto proprio dai suoi connazionali, da chi misconosce il genitivo sassone e il senso del “write and speak about yourself” *.
Prima di lui abbiamo riso di Emma, la testimone italiana agli Eurovision Song Contest. Dalla cantante con ambizioni circoscritte al confine nazionale ci si aspetta che si esprima in inglese.
Abbiamo deriso, in ordine cronologico a ritroso il premiato Paolo Sorrentino che nella notte degli Oscar è stato ricordato più per le critiche al suo inglese che per aver posto il made in Italy nella più importante festa del cinema internazionale.
Fu anche la volta della Canalis, fresca di relazione col bel George Clooney. Co-presentatrice del festival di Sanremo, si ritrovò a intervistare De Niro, cavandosela manco poi tanto male. Eppure fu inseguita fin negli States per palesarle quanto il suo fosse un maccaronico inglese.
Ci sono state figuracce, è anche vero. Il “nos only” di Berlusconi, il “please, visit our country” abbozzato da Rutelli, la frase “Torino is Italis fist capital” di Fassino. E chi se scorda cchiù?
È anche vero, però, che la stessa pretesa che avanziamo nei confronti dei nostri rappresentanti non la esigiamo quando siano altri a venire in Italia. Nessuno che abbia mai mostrato interesse a mettere in fila una frase minima in italiano. Non un politico, non un cantante, non un attore. Eppure molti di essi ricevono copiose somme per omaggiarci della loro presenza.
Arrivano qui, magari paghiamo anche quote vicine ai cinquanta euro o più per sentirli e non ci rifilano che un “Grassie Italia”. Lo stesso attore straniero ingaggiato per una parte in una commedia italiana necessita di un doppiatore perché nemmeno la parte dello straniero alle prese con un italiano zoppo è capace di proporci. E vogliamo ricordare gli spot che assumono star americane che sponsorizzano il prodotto italiano in inglese?
Ma in quei casi tutto tace. Non un motivetto su YouTube, non un articolo canzonatorio dei grandi e sommi nomi dei quotidiani nazionali, non un trafiletto bucolico che mostri quanto si possa essere affini noi, gli italiani, agli altri.
* “Scrivi e parla di te stesso”
Anna Di Nola