Dopo la pubblicazione del nostro articolo di ieri, siamo stati contattati celermente tramite facebook da Gino Pellegrino, direttore del Foof e presidente dell’associazione ‘Vivi Mondo’ che gestisce il museo, il quale ha chiarito la totale estraneità del museo del cane alle pratiche adottate dai partner.
Con i suoi interventi, Pellegrino ha inoltre definito in maniera netta la distinzione tra i diversi organismi che convivono nella stessa struttura fugando ogni dubbio e confusione venutosi a creare precedentemente:
“Foof non truffa nessuno” così ha esordito, in maniera ferma, Pellegrino che ha aggiunto: “Nella struttura coesistono tre entità, ovvero l’associazione Vivi Mondo di cui sono presidente e che gestisce il museo; il Rifugio Agro Aversano che gestisce l’area dedicata ai tanti randagi ospitati; infine l’Agricoltura del Massico che si occupa l’omonimo allevamento. Il Foof vanta decine di partner (mangimi, rifugi, allevamenti, università, associazioni…) e non possiamo rispondere per gli errori dei singoli partner;
sicuramente in caso di gravi errori riconsidereremo la partnership che ci lega all’Allevamento del Massico”.
Secondo il direttore del Foof, leggendo il nostro precedente articolo sembra chiaro un attacco al museo, quando effettivamente ad essere coinvolti sono altri soggetti che occupano la struttura. Da parte nostra teniamo a precisare l’estrema correttezza con la quale abbiamo riportato un episodio realmente accaduto in nostra presenza e teniamo a sottolineare che a fare leva sull’equivoco Foof-allevamento non siamo stati certamente noi che del resto abbiamo titolato l’articolo utilizzando un punto interrogativo perché anche a nostro vedere sembrava assurdo quanto ci stava capitando sotto gli occhi.
Pellegrino continua sottolineando quanto la presenza del Foof abbia inciso positivamente sulle adozioni dei randagi del rifugio della struttura e spiega: “La bassotta di cui avete allegato la foto è un cane del rifugio, cioè un cane ospitato dal Foof ed adottabile gratuitamente assieme ai tanti altri cani che non rispettano gli standard di razza ma che sicuramente potranno regalare tanto amore a chi li prenderà con sé. Al più presto verificheremo effettivamente cosa è successo con gli operatori di turno e capiremo come sia stato possibile commettere un tale errore oppure se effettivamente un operatore ha cercato di vendere cani che dovevano essere donati”.
Infatti, secondo il decreto legislativo 529 del 1992, se effettivamente venisse accertata l’illegale e degradante pratica della vendita di cuccioli senza certificazione genealogica nell’allevamento o nel rifugio annessi al Foof, chiunque abbia provato a cedere i cani senza pedigree per una somma di denaro sarebbe sottoposto a controlli che porterebbero a sanzioni fino a circa 30.000 euro.
Comunque vada a finire questa storia, contiamo in un lieto epilogo per la “bassotta fattrice x” e la sua cucciolata, scusandoci col Foof e ringraziando il direttore Gino Pellegrino per la sua massima disponibilità.
Raffaele Cirillo