Nella mattinata odierna, i finanzieri della Compagnia di Ottaviano, al termine di un’indagine coordinata e diretta da quest’Ufficio, hanno eseguito un’ordinanza cautelare di arresti domiciliari nei confronti di due amministratori di un gruppo societario operante tra la provincia napoletana e quella casertana ed attivo nel commercio dei preziosi. Nel contempo, è stato eseguito un provvedimento di sequestro preventivo “per equivalente”, dell’importo di quasi cinque milioni di euro.
I due soggetti sottoposti alla misura degli arresti domiciliari sono Domenico e Luigi Ammirati di Terzigno, rispettivamente padre e figlio, titolari di svariate società operanti nel settore e ritenuti responsabili di riciclaggio di notevoli quantitativi di oro usato di provenienza illecita.
Gli Ammirati sono titolari di tre esercizi commerciali di gioielleria, siti in Terzigno e in Marcianise, a conduzione prettamente familiare, ed ivi esercitano altresì l’attività di “compro-oro”. Quest’ultima è disciplinata da una rigorosa normativa, che prevede il monitoraggio di tutte le fasi dell’acquisto e della successiva rivendita dell’oro usato, al fine di evitare che eventuali oggetti di refurtiva possano essere impunemente
smistati presso detti esercenti, in tal modo venendo agevolata la commissione di delitti contro il patrimonio.
Ciò è proprio quello che è avvenuto presso gli esercizi gestiti dagli Ammirati, i quali hanno strumentalizzato l’attività commerciale per “ripulire” ingenti quantità di oro di provenienza furtiva, mediante l’utilizzo di modalità originali e del tutto insolite. Infatti, gli indagati, al fine di giustificare l’oro di provenienza illegale, hanno provveduto ad alterare le quantità dell’oro lecitamente acquisito ed indicato sui registri. Alcune vendite operate da finanzieri in incognito ed avvenute presso gli esercizi commerciali gestiti dagli indagati hanno dimostrato come, a fronte di cessioni di poche decine di grammi di oro usato, i titolari delle società annotassero sui registri acquisti per quantità che sfioravano il chilogrammo, in modo da poter giustificare l’introito di preziosi acquisiti illegalmente da altre fonti.
Allo stesso modo, venivano realizzati artifizi contabili per sopravvalutare l’oro di provenienza illecita ricevuto dai privati, registrando acquisti da parte dei fornitori leciti in misura maggiore rispetto a quella reale. Ciò serviva a rappresentare un volume di costi superiore all’effettivo ed a conseguire vantaggi anche dal punto di vista fiscale, con l’abbattimento della base imponibile. Tali artifìci consentivano agli indagati, nella successiva fase della rivendita dell’oro usato, di cederlo a prezzi competitivi alle fonderie, con palese turbamento delle regole della libera concorrenza rispetto agli altri operatori del settore.
La quantità di mercé oggetto dell’attività di riciclaggio è stata ricostruita grazie al meticoloso lavoro della polizia giudiziaria che, seguendo le direttive di quest’Ufficio, ha proceduto all’analisi della contabilità alterata, all’assunzione di informazioni di centinaia di cedenti i preziosi (per comprovare la discordanza dei dati contabili rispetto alle operazioni di vendita realmente avvenute), nonché alla disamina dei flussi finanziari. L’indagine sì è estesa su tutto il territorio nazionale, attesi i rapporti criminali che i soggetti responsabili avevano con operatori di settore in altre città italiane ai quali rivendevano i preziosi. Il meticoloso lavoro d’indagine ha portato a quantificare Poro oggetto di riciclaggio, nel periodo temporale dal 2009 al 2012, in g. 220.100,11 (cioè ben oltre i due quintali, per un valore di €.4.910.972,96).
La solidità dell’impianto probatorio ha consentito a questa Procura della Repubblica di richiedere e ottenere dal competente Giudice per le indagini preliminari remissione di un provvedimento cautelare personale e l’esecuzione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni nella disponibilità degli indagati per un valore complessivo di circa cinque milioni di euro. Sono stati pertanto sottoposti a sequestro cinque appartamenti siti a Terziglio e a Poggiomarino, l’immobile nel quale è ubicato il centro orafo gestito dagli indagati
presso “II Tari” di Marcianise, nonché conti correnti e depositi, quote societarie, autovetture ed ingenti quantità di preziosi e monili d’oro.
Oltre che sui beni degli indagati, il provvedimento ablatorio è stato eseguito anche sui beni di una delle società gestite dagli indagati, grazie all’applicazione della normativa in materia di responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche (D.L.vo 231/2001), che consente di aggredirne i beni fino al raggiungimento dell’ammontare dell’importo dell’oro riciclalo da cui ha tratto vantaggio. L’operazione costituisce un brillante risultato dell’Autorità Giudiziaria e della Guardia di Finanza, impegnate quotidianamente nelle attività a contrasto delle forme più insidiose di criminalità economica e, in generale, a tutela della sicurezza economico – finanziaria dell’area nolana.